Con le lacrime agli occhi e con il cuore ferito, vogliamo rinnovare la nostra fede: “credo la vita eterna, credo la comunione dei santi, aspetto la risurrezione dei morti”.
Della famiglia Monti ho davanti due immagini: una di una famiglia unita e serena, che traspare in una foto che li vede tutti insieme, sorridenti, che si prendono per mano; l’altra, colma di tristezza: i corpi deposti nelle bare, tre di esse bianche, poste l’una accanto all’altra nella chiesa dove erano state portate in attesa di dare loro una degna sepoltura.
Oggi li pensiamo nel paradiso uniti e sorridenti.
È questo che ci fa chiedere la preghiera in questa celebrazione.
La morte porta sempre con sé sofferenza, tristezza, amarezza; sentimenti che diventano ancora più intensi, quando essa avviene in modo drammatico e coinvolge giovani vite.
La frana in poco tempo ha strappato all’affetto dei propri cari soprattutto giovani vite: da un bambino di 22 giorni, a Maria Teresa di 6, a Francesco di 11 anni e Michele di 15, solo la signora Nikolinka aveva 58 anni, tutti gli altri sotto i 40 anni!
Dal profondo di ognuno di noi è sgorgata una domanda lanciata al Cielo: “Signore, perché?”.
Il mio pensiero è andato subito a quel grido che anche Gesù eleva al cielo, che abbiamo ascoltato nel Vangelo, proclamato poco fa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Hanno chiesto a papa Francesco: «‘ma Padre, perché soffrono i bambini?’» o addirittura muoiono? «Davvero io non so cosa rispondere». Di fronte alle domande sul dolore innocente, il Pontefice risponde “soltanto” con questo suggerimento: «Ma guarda il Crocifisso, Dio ci ha dato suo Figlio e Lui ha sofferto, e forse lì troverai la risposta. Ma risposte di qua non ci sono. Soltanto guardare l’amore di Dio che dà suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione. Per questo si dice che Dio è entrato nel dolore degli uomini».
Gesù è entrato nel dolore dell’uomo e anche nella morte. Egli ci dice: “anche lì ci sono, sono con te!”.
Anche la nostra Madre celeste, Maria, ci accompagna nel passaggio finale da questa vita all’altra. Non la preghiamo spesso: “prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”?
Lei, esperta nel patire, – la pensiamo Desolata sotto la croce! – potrà dare a voi, carissimi fratelli e sorelle, afflitti dal dolore dei vostri cari, consolazione e tenere accesa la speranza.
Stiamo dando l’estremo saluto a questi nostri fratelli e sorelle in questa chiesa intitolata a Gesù Buon Pastore. Nelle catacombe a Roma (fin dall’inizio del III secolo) troviamo spesso su soffitti all’interno di una cornice paradisiaca immagini di un pastore con una pecora sulle spalle. Nell’immagine del pastore si cela quella del Cristo Salvatore, che evoca la vita eterna e, contemplandola, ogni battezzato può identificarsi nella pecora salvata.
Pensiamo a Gesù Buon Pastore che ha preso sulle sue spalle questi nostri fratelli e sorelle e li ha portati in paradiso!
Visitando una delle catacombe romane, mi colpì la scritta su una tomba di un bambino di 8 anni: “il giorno … è nato al cielo” e il nome del bambino. Il giorno della morte è chiamato il giorno della nascita al cielo (dies natalis).
I primi cristiani avevano una fede viva nella vita eterna e consideravano la morte come nascita al cielo!
Chiediamo al Signore almeno un po’ di questa fede!
Sorelle e fratelli carissimi,
questo è il tempo della preghiera, della vicinanza, della condivisione.
Ci sarà, dopo aver dato degna sepoltura ai vostri cari, il tempo di una riflessione critica sull’accaduto, spingendo le autorità amministrative e politiche a trovare soluzioni, non rimandabili, perché eventi drammatici come questi non si ripetano.
Nello stesso tempo siamo provocati a conoscere, difendere, valorizzare, prenderci cura del nostro territorio, bello e ferito. Urge, soprattutto nelle giovani generazioni più attente a queste tematiche, educare al rispetto del creato.