C’è una osteria lungo la strada che da Gerusalemme porta ad Emmaus: a chi di noi non è familiare? Chi non ha camminato su quella strada una sera che tutto era perduto? Chi non avverte che sembra proprio questo il tempo del cammino triste, confuso, senza meta? Shalom! Sono le prime parole del Risorto. È Gesù a dirlo, presentandosi ai suoi… ma i discepoli non lo riconoscono. Lo credono un fantasma! E questo perché erano spaventati… erano abitati da fantasmi come il turbamento, le paure, i dubbi che non permettono loro di vedere la realtà. Chi non ha camminato su quella strada… Gesù morto in noi! Perché ce l’avevano preso: il mondo, i filosofi, gli scienziati, le teorie sfornate all’occorrenza. Noi seguivamo una strada e Lui ci camminava affianco. Pensavamo di essere soli… ma non lo eravamo. «Quando furono presso il villaggio dov’erano indirizzati, egli fece finta di voler andare più lontano. Ma essi gli fecero forza dicendo: rimani con noi, perché si fa tardi e il giorno declina». Si fa sera… quasi giunti alla meta (o forse no!)… un invito… un pane spezzato e dato… e gli occhi si aprono! Arde ora, il cuore dei discepoli… e comincia a bruciare. Il tempo si riempie nuovamente di significato e noi ci apriamo a quell’uomo come l’avessimo da sempre conosciuto. Con i discepoli di Emmaus in quella locanda entriamo anche noi… come l’amico innominato di Cleopa… e ci accomodiamo. È questione di attimi anche per noi. Una frazione di secondi in una frazione del pane… e… Spezza il pane, il nostro amico… e a noi si spezzano le catene… si aprono gli occhi… si sciolgono mani e piedi. Il cuore brucia: «È Lui». E noi ci ritroviamo a danzare come non mai.
Ci abbracciamo e gridiamo dalla gioia. Lui non si vede più, ma c’è. Lo abbiamo riconosciuto. Lo abbiamo riconosciuto nel cammino di un racconto… in un pane spezzato… in briciole di condivisione… in una speranza ritrovata. L’hanno riconosciuto nello spezzare il pane. Solo in quel gesto hanno visto riflessi i lineamenti del loro Gesù. Nemmeno Maria di Magdala lo aveva riconosciuto fuori dal sepolcro confondendolo con il custode del giardino. Solo quando Gesù le dice: «Maria» le si aprono gli occhi e riconosce il suo Maestro. E noi? Lo abbiamo riconosciuto quando ci siamo avvicinati alla scrittura? Lo riconosciamo mentre spezza per noi il pane domenicale? Non ci è mai capitato di ascoltare una parola inaspettata, folgorante… di ricevere all’improvviso da uno sconosciuto dolce e umile di cuore, il dono di una carezza profumata di cielo, di una consolazione che non recava firma d’uomo. Come vorrei che uscendo dalle nostre Eucarestie domenicali, avvertissimo l’emozione dei due di Emmaus: «non bruciava il nostro cuore mentre egli ci parlava e ci spiegava le Scritture?».
Oggi c’è crisi di estasi, è in calo il fattore sorpresa, non ci sorprendiamo più di nulla. Il Signore ci ha messo sulla bocca parole roventi, ma noi spesso le annacquiamo col nostro buon senso. Ci ha costituito sentinelle del mattino, annunciatori… e invece o non annunciamo affatto oppure diciamo cose scontate, che non danno i brividi, che non provocano rinnovamento. È necessario ritrovare la forza provocatoria del Vangelo. Viene Gesù… e non dà ordini ma dona: e la sua prima offerta è “stare in mezzo” ai suoi, riannodare la comunione perduta quel giovedì sera. Viene e condivide pane, sguardi, amicizia, parola. È consolante vedere la fatica dei discepoli a credere, il loro oscillare tra paura e gioia. È la garanzia che la risurrezione di Gesù non è una loro invenzione, ma un evento che li ha spiazzati. Lo conoscevano bene, il Maestro, dopo tre anni di strade percorse… di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi negli occhi… eppure non lo riconoscono. Concludo… e torno a quei due di Emmaus. Corrono e ritornano a Gerusalemme e raccontano. Questo dice a me e a voi che la fede, ancor prima di esser un ragionamento o un insegnamento morale, è “racconto”. Non posso essere convincente se racconto ciò che non vivo.
Faccio un esempio: tra due persone che mi parlano di un lebbrosario, tra quello che ha letto solamente libri e visto documentari e uno che ci ha abitato e magari fatto il missionario, sicuramente preferisco e trovo più convincente il secondo… lo è stato per me qualche anno fa, ospite delle suore del Pime, ascoltando suor Eletta. La domanda allora nasce (forse) spontanea: quand’è che faccio esperienza di Gesù Risorto? Ho qualcosa da narrare? Pensiamoci e preghiamoci su. Tante volte, quando mi fermo a pregare meditando un passo della Parola di Dio, mi si accendono in testa e nel cuore come delle lampadine che mi aiutano a ricordare quando Dio e la sua pace sono entrati nella mia vita. Oppure ci son persone attorno a me che in un modo o nell’altro, con le loro esperienze, spesso diversissime dalla mia, mi raccontano la loro vita piena di Dio. (Grazie ancora suor Eletta… il cuore mi bruciava dentro quella sera mentre ti ascoltavo). Gesù fantasma??? Sono io… siamo noi fantasmi quando non siamo coerenti con ciò che professiamo: diciamo una cosa e ne facciamo un’altra. Quando siamo vuoti dentro e le nostre parole sono piene di vento. Per essere convincenti bisogna prima essere coerenti, altrimenti siamo maschere ambulanti o fantasmi svolazzanti. Anche noi continueremo a non riconoscerlo quando siamo convinti che sia lontano, che non si occupi di noi, che non si interessi alla nostra vita… e diventiamo tristi, sfiduciati e scoraggiati come Cleopa e il suo amico. Ogni giorno ci sarà per noi una nuova “Emmaus” dove Lui ci aspetta per affiancarsi nel cammino e rivelarci il suo sogno per noi. Tocca a me… a voi… riconoscerlo e scoprire la fiamma che aveva già acceso nel nostro cuore.
Mario Russo