Non sono stato un fan, nei mesi scorsi, di “Mare fuori”, la fiction della Rai ambientata tra i ragazzi
del carcere di Nisida. Mi ha colpito in modo particolare, quindi, quello che ha scritto una ragazza
che ha conosciuto sul serio il carcere di Nisida e che oggi è una guida di Puteoli Sacra, in un post su
Facebook: «Mi è capitato più volte – afferma – di fare laboratori con i bambini e quando spiegavo
loro il progetto [di Puteoli Sacra], chiedevo se conoscessero Mare Fuori e se avessero paura ad
entrare in quel "carcere"… ovviamente la risposta è stata "NO"… e questa cosa mi ferisce… Io sono
una ex detenuta di Nisida e vi posso assicurare che la vita lì era ben diversa, le dinamiche erano
diverse e diversa era anche l’interazione tra detenuti e polizia… Al termine di ogni visita chiedo con
tutto il cuore ai bambini di fare distinzione tra realtà e fantasia, il vero carcere non è quello che si
vede nelle serie TV e nei film, non bisogna imitare comportamenti sbagliati, non si deve essere fieri
di essere Rosa Ricci e soprattutto non bisogna voler entrare a Nisida».
Eppure, i personaggi, e gli attori che li impersonano, sono diventati popolarissimi a Napoli,
soprattutto tra i più giovani.
Quasi contemporaneamente alla pubblicazione di questo post, la vita di un giovane della nostra
terra, Francesco Pio Maimone, veniva spazzata via – “per errore”, hanno scritto i giornali -, da un
altro giovane, anche lui di nome Francesco Pio. Può essere uccisa la vita, la speranza, i sogni, il
futuro di un giovane per errore? E può essere colpevole di ciò un altro giovane come lui? Sì, se i
“comportamenti sbagliati” di cui parlava il post diventano la normalità, al punto da far dire a don
Enzo Cimarelli, il parroco del ragazzo ucciso: «Non siamo sconvolti perché ci si sconvolge quando
accade qualcosa che non ti aspetti, qualcosa di impensabile ma l’ondata di violenza e di morti di
questi anni ci ha periodicamente abituati alle vite spezzate di tanti giovani della nostra città…
Queste notizie cadenzano ormai gli anni e segnano tempi e dolori collettivi». Il punto centrale per
me è: in quale “ambiente vitale” stiamo facendo crescere i nostri ragazzi? È una domanda che a
Napoli si impone in maniera particolare. Che valori stiamo trasmettendo ai nostri giovani, se una
ragazza che ha vissuto l’esperienza di un carcere minorile, e che ha saputo cambiare e diventare
“altro”, deve chiedere loro “con tutto il cuore” di non prendere come modelli comportamenti e
personaggi violenti? In quale cultura sono immersi se “fanno della violenza e della prepotenza il
proprio stile di vita”, credendo che “un coltello in tasca e una pistola addosso rendano più forti, fino
a sentirsi padroni della vita altrui”, come ha scritto l’Arcivescovo di Napoli? Che futuro stiamo
costruendo per i figli della nostra terra, se “non siamo sconvolti” non solo dalla violenza gratuita ed
efferata, ma anche dall’aggressività a ogni livello (basta camminare per strada qualche minuto, per
rendercene conto), “dall’assenza delle istituzioni, perse nelle loro burocrazie, conti, tavoli”,
“dall’omertà di chi fa finta di nulla e dall’indifferenza di chi si gira dall’altra parte…
dall’individualismo di tutti e dall’incapacità di far rete sul serio, fino in fondo, per il bene dei
piccoli”, come scrive don Enzo? I Padri della Chiesa dicevano che un cristiano ama non solo chi
viene ucciso, ma anche chi uccide, perché sa che ambedue sono figli di Dio: per me, questo significa
che, come comunità educante, dovremmo aiutare chiunque a realizzare i propri sogni, eliminando
ciò che impedisce loro di realizzarsi. Per questo non dovremmo rassegnarci, mai! Dovremmo anzi
gridare ancora più forte che la cultura dell’illegalità uccide non solo fisicamente i nostri giovani, ma
soffoca il loro futuro, spegnendo la loro speranza ed espropriando i loro desideri e i loro doni. E
dovremmo, tutti insieme, operare perché si dia vita a una ribellione morale dei nostri territori,
capaci di affrancarsi dalle grinfie di chi vuole spezzare con la violenza i sogni delle persone che li
abitano, com’è stato per quelli di ambedue quei giovani con lo stesso nome.