Siamo ormai abituati a vedere un po’ tutti con uno smartphone in mano, camminare per strada intenti a digitare a capo chino o a dettare messaggi vocali. Inevitabilmente siamo portati a considerare tutto questo inopportuno, pericoloso, negativo… salvo poi fare lo stesso dopo mezzo minuto! Non è più solo l’esigenza di comunicare il prima possibile, ma quella di essere sempre “connessi”, “in rete”, parte di quel fantasmagorico mondo virtuale nel quale sembra ormai precipitato il mondo reale.
«È il progresso, gente! Ed è inarrestabile!», ci è stato detto. Non è più solo questione di mass media, abbiamo scoperto, ma di personal media, e poi di social media: senza il tuo posto nel mondo virtuale, non hai diritto nemmeno a un posto nel mondo reale, tra la gente vera. E a chi piace sentirsi buttato dal mondo, senza amici (che, se non ne hai su Facebook, vuol dire che non ne hai nemmeno nella vita reale)? Ma… c’è sempre un ma, che rovina la perfezione delle illusioni e delle bugie. Magari un piccolo, insignificante granello di polvere, un tassello che non si sa come inserire, un fatto illogico che fa saltare tutta la costruzione fantastica. O lo scontro con quello che Freud chiamava il”principio della realtà”.
O una persona vera: come, ad esempio, Tiziana Cantone. Che si è vista privare della sua dignità di persona, per l‘infamia della gogna mediatica scattata sui social dopo che un video (chissà come!) è “finito in Rete”. Non mi interessa ciò che è stato prima, conta che una persona reale (sottolineo: reale) non ha retto la pressione, suicidandosi per i commenti, le parodie, gli insulti nel mondo virtuale. E questo fa comprendere la grande bugia che c’è dietro quel progresso che i social promettevano: la vita vera non è quella di Facebook o Twitter, e nemmeno quella di Whatsapp…
Come sempre, occorre equilibrio, e sano spirito critico. La reazione all’invadenza del mondo digitale e virtuale, sembra per fortuna iniziata: notizia di pochi giorni fa è che i “millennials”, cioè i ragazzi nati tra il 1980 e la metà degli anni ‘90, in sostanza ventenni e trentenni, stanno abbandonando i social, perché rubano tempo e privacy, e soprattutto li rendono preda di migliaia di informazioni commerciali mirate. Forse, il pendolo del progresso si sta rapidamente spostando verso una rinnovata considerazione della propria umanità, che consta di relazioni reali e non virtuali.
Pino Natale
(immagine da tonykospan21.wordpress.com)