I Campi Flegrei, posti al centro dell’area vulcanica napoletana, sono da alcuni decenni interessati da crisi periodiche con sollevamento del suolo, sismicità e incremento dell’attività idrotermale nelle aree della Solfatara e dei Pisciarelli nella conca di Agnano. I recenti terremoti avvertiti nell’area flegrea hanno rinnovato la preoccupazione negli abitanti della città di Pozzuoli e dei quartieri occidentali della città di Napoli per una intensificazione del bradisismo, temendo che i segnali registrati dalla rete di monitoraggio fossero indizio di un rischio crescente.
Il monitoraggio dell’area flegrea si basa sulle conoscenze e sulle tecnologie più avanzate disponibili per riconoscere, nei fenomeni registrati, la condizione critica perché possa verificarsi un’eruzione. La probabilità di successo per tale evento è tanto più elevata quanto più attendibile è lo scenario utilizzato per seguire l’evoluzione dei segnali precursori, generati dal cambiamento delle condizioni fisiche nella camera magmatica e dalla sua migrazione verso la superficie.
Uno schema semplificato della struttura di un vulcano da monitorare per riconoscere uno stato critico pericoloso prevede l’azione di una sorgente magmatica, posta ad alcuni chilometri di profondità, che migra verso la superficie o aumenta la sua pressione. L’energia alla sorgente è fornita dal trasferimento di calore o di nuovo magma da maggiori profondità, e la sua azione si traduce nella deformazione delle rocce di copertura che tendono a sollevarsi, inizialmente con un comportamento duttile senza fratture e, quindi, senza terremoti.
Al progredire del processo le rocce si fratturano e generano terremoti. Attraverso le fratture i fluidi, liberati dal magma, risalgono più agevolmente in superficie e producono un incremento dell’attività idrotermale. I vincoli di questo scenario sono la profondità della sorgente, la sua migrazione e la potenza liberata.
Se la sorgente non modifica la sua posizione, l’energia liberata è associata alla sua variazione di pressione che produrrà deformazioni nelle rocce di copertura e terremoti. La rete di monitoraggio rileverà un campo di deformazioni in superficie con un andamento immutato nel tempo, ma valori più elevati negli spostamenti verticali e orizzontali. La rete sismica mostrerà la stazionarietà degli ipocentri nello strato di rocce che sovrastano la sorgente magmatica; quindi, non si osserverà alcuna migrazione di terremoti verso la superficie.
Se, invece, la sorgente migra verso la superficie, il campo di deformazione si modifica evidenziando cambiamenti significativi, tra le diverse parti della caldera, nel corso della migrazione del magma e nello stesso tempo la sismicità decresce negli strati più profondi e tende a concentrarsi negli strati più superficiali, crescendo in frequenza ma decrescendo in energia.
Il terzo vincolo ricordato agisce sulla velocità di evoluzione del sistema vulcanico nel corso della crisi. Un incremento del tasso di variazione della pressione nella sorgente o della migrazione del magma verso la superficie incrementa la velocità di deformazione del mezzo, la sismicità e l’attività idrotermale.
L’esperienza ha confermato l’attendibilità dello scenario descritto. Infatti, i fenomeni monitorati nel corso delle due crisi che hanno investito i Campi Flegrei nel 1970-72 e 1982-84, sono stati prodotti dall’azione di una sorgente magmatica localizzata stabilmente a circa 3 km di profondità senza alcuna migrazione. Il processo osservato nelle due crisi è stato associato a un impulso prodotto da iniezione di magma in un mezzo a comportamento in parte elastico e in parte viscoso. Alla fine dell’azione dell’impulso il mezzo ha solo parzialmente recuperato il sollevamento prodotto, entrando nel regime di subsidenza di lungo periodo. La seconda crisi ha mostrato fenomeni e durata molto simile a quella precedente, differenziandosi in parte per la maggiore sismicità.
L’attuale crisi, che può farsi iniziare nel 2011, mostra gli stessi fenomeni delle crisi precedenti ma uno sviluppo diverso, per la durata, il tasso di deformazione che risulta di un ordine di grandezza inferiore, la maggiore attività idrotermale, con la migrazione dell’epicentro di tale attività ai Pisciarelli. In questo caso il sollevamento per la sua durata non può essere interpretato con un impulso di magma, bensì appare ragionevole ipotizzare l’azione di una sorgente permanente di energia, dovuta a una massa magmatica che trasferisce calore alle rocce e ai fluidi sovrastanti a un tasso costante. L’intrusione magmatica nel mezzo poroso ricco d’acqua, ne innalza la temperatura e per galleggiamento migra verso l’alto, assumendo la forma di un pennacchio che può fornire un contributo significativo alla deformazione delle rocce di copertura.
Per le analogie rilevate tra la crisi in corso e le due degli anni ’70 e ’80 si può ragionevolmente ipotizzare che l’attuale fenomeno si esaurisca senza eruzione, come nei casi precedenti, ma in tempi più lunghi, a causa della maggiore lentezza del sollevamento. La durata del fenomeno è dettata, a parità delle altre condizioni, dall’entità dell’energia disponibile nella sorgente e, nell’ipotesi che sia la stessa delle crisi degli anni ’70 e ’80, l’evento in corso potrebbe svilupparsi ancora per un decennio e più. In un contesto di lungo termine le tre crisi esaminate potrebbero rappresentare fasi di un unico processo che contribuisce all’evoluzione della risorgenza della caldera flegrea senza una manifestazione eruttiva in tempi ravvicinati, mentre sono ipotizzabili altri episodi come le crisi esaminate, che, in tempi lunghi, chiudono un ciclo di deformazioni con un evento eruttivo, così come probabilmente sarà accaduto tra il X e il XVI secolo, quando l’inversione del moto del suolo aveva prodotto un sollevamento di circa dieci metri al centro della caldera, prima che si verificasse l’eruzione di Monte Nuovo nel 1538.
Giuseppe Luongo
Professore Emerito dell’Università di Napoli Federico II
Già Ordinario di Fisica del Vulcanismo
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