«I giovani non hanno subito questa pandemia. Basta descriverli come la generazione con il cellulare in mano sul divano. Da un lato, hanno percepito l’assenza di qualcosa che c’era (gli amici, la scuola in presenza etc.), dall’altro, hanno scoperto (o ri-scoperto) qualcosa che prima non c’era. Si sono trovati di fronte ad imprevedibili mancanze, ma anche a impreviste risorse». Sono queste le parole ad HuffPost di Nicola Ferrigni, sociologo e direttore dell’Osservatorio permanente sui giovani della Link Campus University, che ha condotto uno studio proprio sull’effetto della pandemia sui giovani. I risultati parlano chiaro: nonostante le difficoltà che l’isolamento ha portato con sé, le limitazioni sono state un’occasione per riscoprire l’importanza della libertà (25,8%) e del tempo (34,7%).
Inoltre, l’Università di Zurigo ha pubblicato il rapporto Qualità dei media 2020. Due analisi che ci fanno comprendere come si sta evolvendo la società durante questa pandemia senza fine che mettono in evidenza sia lo stato d’animo dei giovani che ha usato la parte buona di internet sia l’evoluzione dei media.
I partecipanti alla ricerca dell’Osservatorio sui giovani, di età compresa tra i 16 e i 19 anni, sparsi su tutto il territorio nazionale, sono stati intervistati sull’esperienza del lockdown. Promossa la didattica a distanza: il 36% la valuta positivamente, da un lato perché funzionale all’avanzamento dei programmi di studio e della preparazione (20,6%), dall’altro perché ritenuta una preziosa occasione per riscoprire l’importanza delle tecnologie e del loro servizio alla scuola e alla didattica (15,4%).
Proprio la rete, durante la pandemia, diventa amica della cultura: il 23% degli intervistati dice di aver fatto ricorso ai canali tematici del servizio pubblico radiotelevisivo, come Rai Scuola e Rai Cultura.
Impossibilitato a frequentare concerti, mostre, teatri, ben uno studente su tre dichiara di aver usufruito di streaming tv o web di concerti o session live musicali (30,1%) o ancora di letture di romanzi, novelle o poesie (30,8%); uno su cinque (21,6%) ha invece assistito a mostre, esposizioni o tour virtuali.
Il secondo dato che emerge dallo studio è che, liberi dalla routine e da bisogni materiali, i giovani hanno fatto un uso diverso del loro tempo: «Si sono dedicati a loro stessi, ma non in senso egoistico – spiega il sociologo -. Hanno anteposto la dimensione affettiva, emozionale e relazionale a quella che è la solita dimensione materiale. Hanno riscoperto il piacere di stare con genitori, fratelli e anche con se stessi».
Significativo il fatto che il 25% degli intervistati affermi di aver riscoperto l’importanza della libertà (ovvero di tutto quello che prima si dava per scontato) e del tempo (34,7%), sia quello per se stessi (18,6%) che quello per la propria famiglia (16,1%), prima ancora che delle tecnologie (3,6%), che pure hanno giocato (e continueranno a giocare) un ruolo fondamentale nella gestione dell’emergenza.
L’altra ricerca, quella del Fög, il centro di ricerca di opinione pubblica e società dell’Università di Zurigo sul rapporto Qualità dei media 2020 ha messo in evidenza che l’informazione è diventata sempre più importante, ma sempre meno finanziata.
Dalla ricerca è emerso che il coronavirus, soprattutto nel periodo tra metà marzo e fine aprile, ha praticamente monopolizzato i media, arrivando a occupare oltre il 70% delle notizie e mettendo in secondo piano argomenti importanti e di attualità come il riscaldamento globale. Quella di aver dato troppo spazio alla pandemia è una critica emersa anche nel sondaggio: per il 55.8% degli intervistati si è parlato troppo del coronavirus, anche se per poco più del 40 per cento se ne parlato nella giusta misura.
Tornando all’analisi degli esperti: i media avrebbero potuto contestualizzare meglio i dati, spesso presentati senza particolari commenti, e per gli approfondimenti ci si è affidati troppo a medici, virologi ed epidemiologi, sia trascurando approfondimenti propri, sia l’opinione di esperti in altre discipline come le scienze sociali o il diritto. Per quanto riguarda l’atteggiamento poco critico verso le autorità politiche e sanitarie, stando ai ricercatori i media hanno in generale mantenuto la giusta distanza critica, tranne nel periodo immediatamente precedente il lockdown.
Interessante un confronto media tradizione/social media, anche se va detto che il rapporto del Fög ha preso in considerazione solo Twitter: altri canali, in particolare WhatsApp, sfuggono all’analisi e potrebbero rivelare spiacevoli sorprese soprattutto per quanto riguarda la diffusione di bufale e complottismi che secondo i ricercatori troverebbero poco spazio nella comunità svizzera di Twitter. In generale si vede che, in periodi di incertezza, anche sui social media ci si rivolge alle fonti tradizionali: autorità e media tradizionali.
I giovani e i giovani adulti, durante la crisi pandemica della scorsa primavera, hanno modificato la propria dieta mediatica, dando più spazio a giornali, settimanali, radio e tv. Ma, precisano subito i ricercatori, si tratta di un effetto temporaneo.
Il che ci porta a uno degli approfondimenti non legati al coronavirus presenti nel rapporto del Fög: quello sui “senza notizie” o deprivati delle notizie, come li definisce il rapporto, perlopiù giovani adulti che non prendono in mano giornali, non si collegano ai siti d’informazione, non accendono radio e tv per notiziari o approfondimenti. Semplicemente, si “imbattono” nelle notizie, sui social media o anche discutendo con amici e conoscenti. C’è quindi un interesse per l’informazione di qualità.
Il giornalismo scientifico è un altro aspetto su cui si sofferma il rapporto del Fög. Un giornalismo di nicchia: appena il 2,1% degli articoli è a tema scientifico. Una cifra che rimane costante, anche se secondo i risultati è calata sensibilmente, negli ultimi anni, la capacità di contestualizzazione delle notizie scientifiche. Una tendenza ricollegabile alla mancanza di competenze all’interno delle redazioni e al conseguente ricorso a notizie di agenzia o, peggio, a comunicati stampa.
Franco Maresca