C’è una Napoli che, inesorabilmente, va scomparendo. Mai visti flussi turistici così, ma si perde identità





Nel post pandemia, Napoli e la Campania stanno conoscendo flussi turistici inusitati
fino a qualche tempo fa (solo nel 2023 oltre 50 milioni di presenze in regione), con
ricadute d’immagine notevoli benché, ad avvantaggiarsene, siano poche categorie di
fortunati. Purtroppo, parliamo d’un turismo di massa e non d’un turismo d’élite,
ragion per cui è facile immaginare quali siano le conseguenze di questa invasione
selvaggia sul tessuto cittadino e sui suoi abitanti.
Napoli ha – all’incirca – 2.700 anni di storia, evidenti vestigia greco-romane nel suo
tracciato del Centro Storico nonché nelle collezioni museali, 800 anni dalla
fondazione dell’Università “Federico II”, il Teatro San Carlo, Ercolano e Pompei che
sono uniche al mondo e che continuano a disvelare meraviglie continue; un numero
di chiese secondo in Italia alla sola Roma, straordinariamente ricche e belle, molte
delle quali rese immortali da canzoni e poesie; location di straordinaria bellezza
come la Cappella Sansevero, quattro castelli ben conservati (grazie alla maestria
degli antichi costruttori, non certo per la manutenzione ordinaria e straordinaria dei
giorni nostri), la splendida Certosa di San Martino, l’incanto dei Campi Flegrei con le
sue meraviglie storiche, paesaggistiche, archeologiche e culinarie, Sorrento, le Isole
del Golfo e… potremmo continuare all’infinito.
Purtroppo, però, i citati siti sono sì visitati ma da una modesta percentuale dei turisti
che vengono a Napoli, i quali ultimi (grazie all’incessante richiamo dei social)
vengono a esplorare posti nuovi. È il caso delle location delle fiction televisive “Mare
fuori” e “Un posto al sole” come pure del murale di Maradona ai Quartieri Spagnoli.
Oppure vengono a mangiare in città non i classici piatti della tradizione partenopea,
bensì il “panino senza mollica”, a sorbire la “limonata a cosce aperte”, a gustare i
“cuoppi” di fritture, e così via.
Tutto il centro cittadino è mortificato dallo spuntare, come funghi, dei
“bed&breakfast” come delle case vacanze: in un palazzo del Risanamento ne ho
contati addirittura 14 in un solo condominio. Anche il cosiddetto tessuto abitativo
degradato, costituito dai celeberrimi “bassi” ubicati nelle zone meno nobili e un
tempo malfamate, conosce una seconda giovinezza, pullulando di locali ricettivi a
vocazione turistica.
Liberamente, ciascun lettore può effettuare una ricerca relativa a quanti conventi
e/o strutture religiose sono stati trasformati in B&B. C’è un caso clamoroso d’un
turista toscano che ha postato su Facebook quanto gli è successo. Ospite in un B&B
del centro antico, ha aperto una doppia finestra vicino alla cucina e quale non è
stata la sua sorpresa nell'affacciarsi sull'altare di una chiesa monumentale. Il video,                          virale sul web, ha permesso di identificare la chiesa in questione. Curia e Prefettura
hanno aperto un’indagine.
Le pizzerie non si contano più, arrivando a declinare anche lo stato di famiglia o
l’albero genealogico degli antichi fondatori (la figlia di…, la sorella di…, il figlio di…
ecc.) e anche in questo caso, con degli eccessi clamorosi: è desolante vedere gli archi
gotici del Palazzo dell’Imperatore di Costantinopoli, in via dei Tribunali, assediati dai
tavolini delle pizzerie, dove bisogna passare zigzagando tra gli avventori; oppure
un’altra pizzeria ubicata all’interno d’una chiesetta in disuso di via San Paolo, S.
Maria Porta Coeli, un gioiello del XIV secolo, locale di ristorazione di recentissima
apertura dal nome (peraltro) anche un po’ blasfemo… Però l’immobile appartiene a
un privato e il conduttore si è munito di tutte le autorizzazioni del caso.
Un tempo Napoli era famosa per la tipizzazione di alcune strade (un po’ come San
Gregorio Armeno, la strada dell’artigianato presepiale, forse l’unica sopravvissuta a
sé stessa, nonostante l’avvilente presenza di molta paccottiglia cinese): gli antiquari
di via Costantinopoli o del Chiatamone, le librerie di Port’Alba, gli strumenti musicali
di San Sebastiano (nei pressi del Conservatorio di San Pietro a Mariella). Oggi, tutto
ciò non c’è più: solo bar, baretti, cicchetti, shottini di “distillato nelle fogne di San
Pietroburgo” come ebbe ad affermare, tempo fa, il Governatore della Campania.
Ma quali sono le ricadute di siffatta situazione su Napoli ed i napoletani?
Drammatiche… Il manto stradale è degno del Camel Trophy (se ne sono lamentati
anche i partecipanti al recente Giro d’Italia, nonostante il restyling dei tratti stradali
ad essi destinati); i marciapiedi sono trappole per gli ignari pedoni che, non di rado,
incespicano e cadono; la città è una immonda pattumiera, altro che differenziata.
L’esercito dei disdettati è ormai costretto a emigrare verso i comuni dell’hinterland
alla ricerca di una sistemazione abitativa degna di questo nome, per una
transumanza che – sociologicamente e antropologicamente – sta ulteriormente
trasformando (in peggio) la qualità della cittadinanza.
È completamente mancata una visione d’insieme, la capacità di scrutare oltre
l’orizzonte prossimo: non si può ipotizzare di governare e guidare una metropoli
tanto complessa (ma anche ricca e fantasiosa) limitandosi alla logica del giorno dopo
o della vernacolare “pezza a colore”. La Apple Developer Academy è una eccellenza,
un modello ideale ma, purtroppo, resta una cattedrale nel deserto, completamente
avulsa dal circuito vitale della città.

Giancamillo Trani





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