Da Quarto ad Amatrice per riportare sorrisi sui volti dei bambini. Manuela Tremante è insegnante di professione e ha voluto dedicare il suo tempo ai più piccoli che hanno subito i danni provocati dall’evento sismico della notte del 24 agosto. La sua è un’esperienza di volontariato molto particolare vissuta tra la gente che stava ancora contando decessi e danni.
Perché ha deciso di partire subito per Amatrice appena tre giorni dopo il terremoto?
«Principalmente mi sono preoccupata dei bambini, anche perché da insegnante so che in questi casi sono quelli che, insieme agli anziani, soffrono di più. A loro volevo dedicare una parte delle mie ore per sollevarli un po’. Ho portato attrezzature per l’animazione come gonfiabili e le macchinette per zucchero filato e popcorn».
Quando siete partiti, quali erano le tappe?
«Sono partita in auto con mio marito senza avere già un contatto sul posto. Siamo arrivati ad Amatrice il giorno 27, di buon mattino. Non avevamo un programma e nessuno che ci stava ad aspettare perché non eravamo mai stati in quella zona e non conoscevamo nessuno. Abbiamo incontrato prima una tendopoli gestita da Save the Children e poi un’altra gestita dalla Regione del Friuli Venezia Giulia. Poi siamo stati accolti dal campo della Croce Rossa. Ci siamo resi contro della grande presenza delle forze dell’ordine. Tutti sono stati molto gentili con noi. Ovviamente come abbiamo immaginato l’animazione dei bimbi non era contemplata nella fase iniziale perché si è pensato giustamente al soccorso e alle prime necessità».
Chi c’era nel campo?
«Al campo siamo stati prima con una ventina di persone e poi nel pomeriggio sono arrivati un’altra settantina. Erano gli ultimi che abbandonavano le case ormai non più agibili».
Com’era la situazione?
«Ad Amatrice l’unica cosa ancora in piedi era il palazzetto dello sport dove la Croce Rossa ha creato il suo punto di riferimento. All’interno dei campi c’è una forte presenza di volontari. Siamo stati con bambini di età molto diverse: da Anna Paola di un anno fino a bambini di sette anni».
Cosa l’ha colpita di più?
«Quello che mi ha stupito è che erano contenti di essere vivi. Non mi aspettavo questa reazione. Una reazione che per chi non ha subito quella tragedia può sembrare anche scontata. A tutti è venuta a mancare la casa e a molte famiglie è venuto a mancare una persona: ma molti erano contenti perché erano ancora vivi. Tra di loro appena si scambiavano informazioni sugli amici».
Cosa le ha dato questa esperienza?
«Umanamente sono stata soddisfatta. Il messaggio che ho realizzato in seguito a quest’esperienza è che se si vogliono fare le cose niente può impedirci di realizzarle. Ho un figlio ed ho pensato ad immedesimarmi nelle loro mamme. L’ho fatto anche per lui che ha 13 anni e adesso è orgoglioso di quello che ho fatto. Qualunque cosa deve essere fatta deve essere fatta con il cuore anche se si tratta di piccole cose, come ho fatto io. Però quello che resta di più è il sorriso di quei bambini».
Ciro Biondi