I dati diffusi oggi dall’Istat ci dicono che nel 2015 le famiglie in condizione di povertà assoluta erano 1 milione e 582 mila, mentre le persone 4 milioni e 598 mila, pari al 7,6% della popolazione. Un’incidenza stabile per le famiglie ma che coinvolge sempre più persone, quasi 500 mila in più rispetto al 2014.
“In ogni caso – commenta don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana – si evidenzia ancora una volta una carenza di politiche organiche di contrasto alla povertà in grado di invertire il trend. Si apre un tempo complesso, quindi, in cui si deve cogliere la dimensione di opportunità per fare un deciso passo in avanti del nostro sistema di protezione sociale, che non ha retto all’urto della crisi economica e che ha lasciato cadere in povertà migliaia di famiglie. Urge, come chiede da tempo l’Alleanza contro la Povertà, un Piano di contrasto alla povertà nel quale emergano con chiarezza le linee di azione per i prossimi anni, tali da dare un quadro comprensibile dell’utilizzo delle risorse europee e nazionali. Per questo sarà necessaria una mobilitazione attenta e una collaborazione costruttiva e realistica per realizzare il cambiamento possibile nel tempo che ci è dato di vivere”.
Dal canto suo la Caritas continuerà nel suo impegno pastorale, avendo sempre ben chiaro quanto Papa Francesco ha ripetuto lo scorso aprile nell’Udienza per i 45 danni di Caritas Italiana: “I poveri sono la proposta forte che Dio fa alla nostra Chiesa affinché essa cresca nell’amore e nella fedeltà”.
Dopo aver ricordato che i bisognosi aspettano la “carezza” misericordiosa del Signore, attraverso la “mano” della sua Chiesa, il Pontefice ha tracciato una sorta di decalogo di come debba essere la misericordia nel mondo di oggi, “complesso e interconnesso”. Una misericordia – ha spiegato – che sia al contempo: attenta e informata; concreta e competente, capace di analisi, ricerche, studi e riflessioni; personale, ma anche comunitaria; credibile in forza di una coerenza che è testimonianza evangelica; organizzata e formata, per fornire servizi sempre più precisi e mirati; responsabile; coordinata; capace di alleanze e di innovazione; delicata e accogliente, piena di relazioni significative; aperta a tutti, premurosa nell’invitare i piccoli e i poveri del mondo a prendere parte attiva nella comunità.
Tale decalogo costituisce un piano pastorale su cui sarà necessario confrontarsi per poi cercare di declinarlo su più livelli, dal locale al nazionale, fino alla dimensione europea e internazionale.
Per far questo occorre una pastorale non astratta, ma che si confronta quotidianamente con le persone, con i problemi, con lo sviluppo di un territorio.
L’obiettivo è di non fermarci ai bisogni immediati. Bisogna puntare a rilanciare l’impegno nel campo di tutte le politiche, non solo quelle sociali, con maggiore attenzione alla loro efficacia nei confronti dei destinatari, da valutare sulla base di “parametri di umanizzazione” da applicare soprattutto nella dimensione locale. Esemplificando potrà dirsi valido un intervento se emancipa i poveri, realizza giustizia, suscita libertà, diffonde umanità, promuove accoglienza, stimola partecipazione.
Proprio per questo bisogna presidiare le nuove forme di inclusione sociale dei poveri, di sviluppo di comunità, di welfare generativo, nuovi percorsi di coesione sociale, di volontariato e di servizio, di accoglienza diffusa, di coinvolgimento dei giovani, di partecipazione dal basso, di discernimento comunitario, di innovazione sociale, di educazione ad una ecologia integrale, alla pace, all’interculturalità, alla responsabilità verso l’ambiente, alla mondialità.
Per una carità sempre “inquieta”, aperta al mondo, che sa leggere i segni dei tempi, studia le interconnessioni dei fenomeni, collega emergenze e cause, impasta insieme solidarietà concreta, advocacy e percorsi educativi, denuncia profetica con ricaduta pedagogica, secondo approcci glocali, frutto di reti e alleanze, dal nazionale all’internazionale.
(foto da Ansa.it)