«In questo tempo di crisi sanitaria, economica e sociale, a causa della pandemia – sottolinea monsignor Pascarella – è stato sconvolto il modo usuale di fare pastorale come di insegnare, lavorare, divertirsi e soprattutto relazionarsi. Siamo costretti a inventare modalità nuove, altrimenti precipiteremo in una stasi che mummifica».
Il vescovo ci ricorda che “Dio da Signore si è fatto servo per farci superare la schiavitù del peccato e della legge e conferirci la libertà dei figli di Dio”, riprendendo le parole di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Il presule richiama Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), che scrive: “Il Salvatore divenne uno di noi, perché divenne uno con noi. E da ciò deriva che siamo tutti fratelli”. In particolare, mette in luce la forza dell’Eucarestia, “nella quale si contempla e rivive l’umiltà-povertà dell’Incarnazione, che san Francesco d’Assisi vedrà realizzata in pienezza nella Passione e Morte di Gesù”.
Papa Francesco ha fatta sua una riflessione di Madre Teresa di Calcutta, dichiarata santa nel 2016: “Noi non siamo una Ong. Le Ong lavorano per un progetto: noi lavoriamo per Qualcuno”. Il pontefice ha sottolineato spesso che “la Chiesa lavora per Cristo e per i poveri nei quali vive Cristo, ci tende la mano, invoca aiuto, chiede il nostro sguardo misericordioso, la nostra tenerezza».
Per realizzare la vocazione fondamentale alla santità, a cui tutti siamo chiamati, non possiamo non “tormentarci”, “spenderci” e “stancarci”, “cercando di vivere le opere di misericordia”.
Monsignor Pascarella sottolinea il senso del Natale: “È rimettere a fuoco la nostra umana dignità e quella di ogni uomo e donna, al di là delle differenze di lingua, di nazione, di religione, di cultura. Il Figlio di Dio, divenuto uomo come noi, nostro fratello, lo rimarrà sempre, indicandoci la fraternità come via per costruire un mondo più a misura d’uomo, in cui regni la pace, la giustizia, la solidarietà, il dialogo».
Un appello a condividere la sofferenza degli altri, in particolare degli ultimi, ad entrare nella “logica del dono” e nella “cultura del dare”.
Partendo dalla considerazione di questo tempo di pandemia come “tempo di crisi e di nuove opportunità” allo stesso tempo, e ponendosi alla scuola della “teologia vissuta” dei santi, la Lettera evidenzia, quindi, come l’Incarnazione ci apra alla logica del dono di sé stessi. Anche in mezzo alle difficoltà, l’ultima parola è dunque una parola di speranza che apre a un “nuovo inizio”.
Il testo della Lettera pastorale su: www.diocesipozzuoli.org