Il Messaggio dei vescovi italiani per la Festa del primo maggio: lavoro, partecipazione e democrazia





Le parole di Cristo (Gv 5,17) aiutano a vedere che con il lavoro si esprime «una linea                                particolare della somiglianza dell’uomo con Dio, Creatore e Padre» (Laborem
exercens, 26). Ognuno partecipa con il proprio lavoro alla grande opera divina del
prendersi cura dell’umanità e del Creato. Lavorare quindi non è solo un “fare
qualcosa”, ma è sempre agire “con” e “per” gli altri, quasi nutriti da una radice di
gratuità che libera il lavoro dall’alienazione ed edifica comunità: «È alienata la
società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo,
rende più difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà
interumana» (Centesimus annus, 41).
In questa stessa prospettiva, l’articolo 1 della Costituzione italiana assume una luce
che merita di essere evidenziata: la “cosa pubblica” è frutto del lavoro di uomini e di
donne che hanno contribuito e continuano ogni giorno a costruire un Paese
democratico. È particolarmente significativo che le Chiese in Italia siano
incamminate verso la 50ª Settimana Sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio),
sul tema “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. Senza
l’esercizio di questo diritto, senza che sia assicurata la possibilità che tutti possano
esercitarlo, non si può realizzare il sogno della democrazia.
Il “noi” del bene comune: la priorità del lavoro
Come ricorda Papa Francesco in Fratelli tutti, per una migliore politica «il grande
tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del
popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in
ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze» (n.162). Le politiche del lavoro
da assumere a ogni livello della pubblica amministrazione devono tener presente che
«non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro» (ivi). Occorre aprirsi a
politiche sociali concepite non solo a vantaggio dei poveri, ma progettate insieme a
loro, con dei “pensatori” che permettano alla democrazia di non atrofizzarsi ma di
includere davvero tutti (cfr. Fratelli tutti, 169). Investire in progettualità, in
formazione e innovazione, aprendosi anche alle tecnologie che la transizione
ecologica sta prospettando, significa creare condizioni di equità sociale. È necessario
inoltre guardare agli scenari di cambiamento che l’intelligenza artificiale sta aprendo
nel mondo del lavoro, in modo da guidare responsabilmente questa trasformazione
ineludibile.
Prenderci cura del lavoro è atto di carità politica e di democrazia
“A ciascuno il suo” è questione elementare di giustizia: a chiunque lavora spetta il
riconoscimento della sua altissima dignità. Senza tale riconoscimento, non c’è
democrazia economica sostanziale. Per questo, è determinante assumere                                                responsabilmente il “sogno” della partecipazione, per la crescita democratica del
Paese.
Le istituzioni devono assicurare condizioni di lavoro dignitoso per tutti, affinché sia
riconosciuta la dignità di ogni persona, si permetta alle famiglie di formarsi e di vivere
serenamente, si creino le condizioni perché tutti i territori nazionali godano delle
medesime possibilità di sviluppo, soprattutto le aree dove persistono elevati tassi di
disoccupazione e di emigrazione. Tra le condizioni di lavoro quelle che prevengono
situazioni di insicurezza si rivelano ancora le più urgenti da attenzionare, dato
l’elevato numero di incidenti che non accenna a diminuire. Inoltre, quando la persona
perde il suo lavoro o ha bisogno di riqualificare le sue competenze, occorre attivare
tutte le risorse affinché sia scongiurato ogni rischio di esclusione sociale, soprattutto
di chi appartiene ai nuclei familiari economicamente più fragili, perché non dipenda
esclusivamente dai pur necessari sussidi statali.
Un lavoro dignitoso esige anche un giusto salario e un adeguato sistema
previdenziale, che sono i concreti segnali di giustizia di tutto il sistema
socioeconomico (cfr. Laborem exercens, 19). Bisogna colmare i divari economici fra
le generazioni e i generi, senza dimenticare le gravi questioni del precariato e dello
sfruttamento dei lavoratori immigrati. Fino a quando non saranno riconosciuti i diritti
di tutti i lavoratori, non si potrà parlare di una democrazia compiuta nel nostro
Paese. A questo compito di giustizia sono chiamati anche gli imprenditori, che hanno
la specifica responsabilità di generare occupazione e di assicurare contratti equi e
condizioni di impiego sicuro e dignitoso…
Le Chiese in Italia, impegnate nel Cammino sinodale, continuano nell’ascolto dei
lavoratori e nel discernimento sulle questioni sociali più urgenti: ogni comunità è
chiamata a manifestare vicinanza e attenzione verso le lavoratrici e i lavoratori il cui
contributo al bene comune non è adeguatamente riconosciuto, come anche a
tenere vivo il senso della partecipazione. In questa prospettiva, gli Uffici diocesani di
pastorale sociale e gli operatori, quali i cappellani del lavoro, promuovano e
mettano a disposizione adeguati strumenti formativi. Ciascuno deve essere segno di
speranza, soprattutto nei territori che rischiano di essere abbandonati e lasciati senza
prospettive di lavoro in futuro, oltre che mettersi in ascolto di quei fratelli e sorelle
che chiedono inclusione nella vita democratica del nostro Paese.





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