Lo so che corro il rischio di essere ripetitivo, e quasi sicuramente lo sarò. Ma i latini dicevano che repetita iuvant, ripetere le cose aiuta, e dunque non me ne faccio un problema. D’altra parte, in questo numero di dicembre come non parlare della festa del Natale? E cosa si può dire di nuovo e diverso rispetto alle cose che si sono già dette sul Natale (anche su questo giornale negli anni scorsi)? Eppure, secondo me qualcosa di nuovo si può dire, non certo rispetto al contenuto o al significato della festa in sé, ma in relazione al modo in cui la viviamo ogni anno. A pensarci bene, infatti, il Natale può essere vissuto in tanti modi, e tutti più o meno pienamente legittimi. Ad esempio, può essere visto come festa consumistica: la corsa ai regali, le luci, le vetrine colorate, i cenoni… Tutto lecito e giustificato, anche se negli ultimi anni tutto questo è andato scemando: poche luci per la strada, poca voglia di festeggiare, pochi soldi per darsi alle spese pazze. Sembra quasi che il Natale consumistico stia cedendo il passo ad altri modi di viverlo, pur resistendo ancora in certi contesti (la pubblicità in televisione, ad esempio). Senza contare che dopo lo scandalo dei Pandoro della Ferragni lo scorso anno, oggi persino comprare un dolce “solidale” genera sospetti e diffidenza.
Ma Natale può essere vissuto anche in altri modi, dicevo: ad esempio come la festa “familiare”, tradizionale, per eccellenza. Si dice o non si dice: “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”? L’immagine classica del Natale, anzi, è proprio questa: una famiglia, più o meno grande, che si riunisce in occasione della festività. Viene qui in mente la famosa battuta di “Natale in casa Cupiello”, dove il protagonista vuole spiegare proprio questo, ma non riesce a pronunciare la parola “riuniamo”: è quasi un modo “furbo” di Eduardo per sottolineare questa dimensione conviviale e familiare. Su questo modo di vivere il Natale, però, incide la crisi della famiglia tradizionale: in quante famiglie i figli passano la Vigilia con il papà e la sua nuova compagna, e il giorno della festa vera e propria con la mamma e il suo nuovo compagno (o viceversa)? In quante famiglie si preferisce passare il Natale in un ristorante per non prendersi il disturbo di cucinare o di mettere sottosopra la propria casa? Quante volte, intorno alle tavolate natalizie, vengono fuori rancori e risentimenti covati per tanto tempo? C’è poi chi vive il Natale cercando di cancellarlo, considerandolo “divisivo” perché potrebbe offendere i credenti di altre religioni. C’è anche chi vive il Natale solo come opportunità “turistica”, un altro tempo di vacanza dopo l’estate… Insomma, penso si sia capito dove voglio arrivare: non è facile vivere bene, nel modo giusto, il Natale. Questo, però, accade a causa di tutte le sovrastrutture nelle quali lo abbiamo ingabbiato. E allora, forse un modo per uscirne c’è, ed è anche abbastanza semplice: eliminare gli aggettivi. Non più il Natale “consumistico”, “familiare”, “tradizionale”, “divisivo” o “turistico” o qual altro, ma solo “il Natale”. Insomma, tornare alla festa in sé, pura e semplice, senza nessun orpello o aggiunta. Dovremmo tornare a celebrare un evento che riguarda tutti, perché dice che quell’Amore a cui tutto l’universo obbedisce (citazione di Battiato, ovviamente) si è donato ad ognuno, senza fare preferenza di persone (cfr. At 10, 34): bianchi, neri, gialli, cristiani, musulmani, buddisti o animisti, uomini, donne, lgbtq e qualsiasi altra sigla si voglia, e così via, purché seguano la giustizia e la pace. Sembra eccessivo? Eppure è San Paolo a scrivere ai cristiani della Galazia: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Per l’appunto: Natale è la festa di tutti perché quest’Amore (offerto a chiunque, nessuno escluso) ci rende una sola cosa con gli altri. Se poi tutto ciò continua a sembrare incredibile, e forse persino pericoloso, siamo sulla strada giusta, significa che stiamo tornando a percepire il Natale per quello che è davvero, nella sua essenza originaria. Il mio augurio finale, per voi lettori di Segni dei Tempi, è allora semplice: tornare alla sorgente originaria del Natale in modo da ritrovare il suo vero senso, scoprendo così ognuno il proprio personale modo di vivere il Natale. Auguri!