Omelia del vescovo di Pozzuoli, monsignor Gennaro Pascarella, nella celebrazione eucaristica di domenica 25 settembre, in conclusione del convegno ecclesiale diocesano nella Parrocchia Sacra Famiglia a Pianura.
Sorelle e fratelli carissimi, il Signore ci avvolga con la Sua presenza e ci doni pace e gioia!
Ogni volta che ci raduniamo insieme vescovo, preti, diaconi e popolo di Dio, il pensiero va ad un testo del Concilio Ecumenico Vaticano II. I Padri conciliari nella Costituzione sulla Liturgia, Sacrosanctum Concilium, dopo aver ricordato che “il Vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge”, continuano: «Perciò bisogna che tutti diano la massima importanza alla vita liturgica della diocesi intorno al Vescovo, soprattutto nella chiesa cattedrale, convinti che la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione plenaria e attiva di tutto il popolo santo di Dio a dette celebrazioni liturgiche, soprattutto alla stessa Eucarestia, all’unica preghiera, all’unico altare cui presiede il Vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri» (n. 41).
L’Eucarestia che stiamo vivendo questa sera è “la principale manifestazione della Chiesa” di Dio che è in Pozzuoli. La ricchezza delle diversità di parrocchie, di sensibilità spirituali, di ministeri e di carismi, di stati di vita, di cultura è ricondotta all’unità. L’Eucarestia è il sacramento dell’unità. Gesù Eucarestia ci lega profondamente a Lui, come i tralci alla vite, e ci unisce tra noi fino a renderci “un corpo solo e un’anima sola”.
Voi convegnisti e voi operatori pastorali, voi fedeli insieme ai vostri presbiteri, a cui il Vescovo affida una “porzione eletta” del popolo di Dio (la parrocchia), rappresentate tutto il popolo di Dio.
Insieme vogliamo innanzitutto rendere grazie a Dio per averci chiamati ad essere parte della Sua grande famiglia: la Chiesa. È un dono e una responsabilità. Accogliere il dono è sentirsi parte viva di questa famiglia: gioire per tutto ciò che di bello c’è in essa, per le grandi cose che Dio continua ad operare, anche se sempre con il suo stile dell’umiltà e della concretezza, dell’imprevedibilità; soffrire per le fragilità, i fallimenti, i peccati che non mancano in essa. Se l’onnipotenza di Dio si manifesta nella Sua misericordia, nella sua famiglia, che è la Chiesa, il primato spetta sempre alla misericordia. “Misericordiosi come il Padre” è il “motto” dell’Anno Santo (Misericordiae vultus, 14). Tutto deve essere intriso di misericordia: i pensieri, i sentimenti, i gesti, gli atteggiamenti, le azioni!
Le comunità parrocchiali, – “organizzate localmente sotto la guida di un pastore che fa le veci del Vescovo”, che “rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra” (SC, 41) – innanzitutto devono distinguersi per la misericordia vissuta all’interno di essa e verso tutti.
«L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. – ci ha ricordato Papa Francesco – Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolta dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole» (MV, 10).
Fratelli e sorelle carissimi,
dai Laboratori del Convegno Ecclesiale Diocesano sulle cinque vie, espresse in cinque verbi per coniugare il Verbo di Dio (uscire, annunciare, educare, abitare, trasformare), in modo trasversale è stata sottolineata la “centralità della Parola di Dio” nella vita personale di ogni cristiano e nella vita comunitaria.
Vogliamo ora lasciarci illuminare e convertire dalla Parola di Dio che, come ogni Domenica, ci è stata donata in modo sovrabbondante.
Il ricco, che è “negli inferi tra i tormenti”, nel dialogo con Abramo che ha accanto a sé il povero Lazzaro, chiede al patriarca di mandare dai suoi fratelli Lazzaro perché li ammonisca e non subiscano la sua stessa sorte. Abramo gli dice: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. Egli insiste. “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo risponde: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti” (Lc 16,27-31).
La via della conversione e del ravvedimento passa attraverso l’ascolto di Mosè e dei Profeti, cioè attraverso l’ascolto obbediente della Parola di Dio.
Anche a noi, questa sera, sono rivolte le parole di Abramo: “Hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro! Hanno la Parola di Dio; l’ascoltino”.
Sia la Legge (tòrah) che i Profeti hanno passi pertinenti alla situazione del ricco dannato: «Quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini caduti: li lascerai per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore vostro Dio» (Lv 19,10). «Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra, allora io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nella tua terra» (Dt 15,11). «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio. (…) dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa il misero senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?» (Is 58,6.7).
Queste parole sono rivolte anche a noi. I beni – sia materiali che spirituali – che ci sono donati vanno condivisi. Il ricco della parabola non ha investito nella condivisione e si è trovato a mani vuote, con il bilancio in rosso! La parabola evoca l’al di là per responsabilizzarci “sul nostro impegno presente, tempo favorevole per la nostra salvezza”.
San Basilio di Cesarea (+ 379) diceva: «Appartiene a chi ha fame il pane che avanzi; appartiene a chi è scalzo la calzatura che fai marcire in casa tua. Appartiene all’uomo che è nel bisogno il denaro che tu tieni nascosto».
Della primitiva comunità di Gerusalemme – prototipo di ogni comunità cristiana di ogni luogo e di ogni tempo – si dice: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. (…) Nessuno infatti tra loro era bisognoso» (At 4,32.34).
Lasciamoci interpellare, inquietare e giudicare dalla Parola di Dio.
Personalmente e come comunità cristiana come ci rapportiamo con i “nostri beni”? Sono mezzi e non fini della nostra vita? Sono opportunità che ci viene data per condividere o il nostro atteggiamento è egoistico e idolatrico? Io Vescovo, tu prete, tu diacono, tu religioso o religiosa, tu fratello e tu sorella fedeli laici, sappiamo vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli e farci prossimo? Di fronte ai “lazzari” che incrociamo nella nostra esistenza quotidiana cosa pensiamo: “tocca a qualcun altro interessarsi di lui!”, proseguendo senza fermarci o “m’importa”, avvicinandoci e prendendoci cura?
Paolo VI parlava dell’«abisso tra la minoranza di chi è illecitamente ricco e la moltitudine di quanti vivono in miseria». Di fronte a questo scandalo permanente come ci poniamo? Diciamo o pensiamo: “non possiamo farci nulla!” oppure ci mettiamo in moto per non far mancare il nostro contributo, accogliendo, attuando e facendo conoscere la Dottrina Sociale della Chiesa, dando il nostro appoggio a progetti politici che cercano di colmare questo “abisso”, ponendo gesti concreti nel nostro territorio?
Infine chiediamoci, accogliendo la provocazione di Papa Francesco: “La nostra Chiesa è povera per i poveri? I poveri sono non solo accolti, ma si trovano a proprio agio nelle nostre comunità parrocchiali? Ci mettiamo in loro ascolto, consapevoli che possiamo ricevere tanto da loro?”.
Sorelle e fratelli carissimi,
il titolo del Convegno Ecclesiale Diocesano, che si conclude con questa celebrazione eucaristica, è stato “Evangelii gaudium. Il sogno di una Chiesa sinodale e missionaria”.
Il sogno è diverso dall’utopia, etimologicamente “u-topos”, “nessun luogo”. Il sogno è il desiderio profondo di raggiungere una meta, è tener viva la tensione del cammino verso la meta. Il sogno non ci fa arenare nelle secche, ci spinge a prendere il largo. Chi non è capace di sognare, rischia di beccare come le galline, senza volare. Il Signore ci porta su ali d’aquila, ci fa camminare come cervi sulle alture. Il Signore apre strade nuove, allarga il nostro sguardo su orizzonti insperati. Il sogno si scontra con la dura realtà e questa lo prova, lo affina, lo ridimensiona e lo arricchisce. Guai a lasciarci rubare o uccidere i nostri sogni!
Chi si ciba della Parola di Dio osa sognare!
«Lo scetticismo lamentevole non appartiene a chi è familiare con la Parola di Dio. – ha detto questa mattina Papa Francesco durante la celebrazione del Giubileo dei Catechisti – Chi annuncia la speranza di Gesù è portatore di gioia e vede lontano, ha orizzonti, non ha un muro che lo chiude; vede lontano perché sa guardare al di là del male e dei problemi. Al tempo stesso vede bene da vicioni, perché è attento al prossimo e alle sue necessità».
Sogniamo che la nostra Chiesa sia come l’ha voluta Gesù, il fondatore: una Chiesa sinodale e missionaria.
C’è un canto che dice “è più bello insieme”! Non solo è più bello insieme, ma è necessario, essenziale, fondamentale “insieme”. Come ci ricordava il monaco Enzo Bianchi, nella relazione che ci ha tenuto all’inizio del Convegno, “sinodo”, ci richiama il camminare (odos) insieme (syn). All’inizio i seguaci di Gesù erano chiamati “quelli della Via”, quelli che camminano alla sequela del Signore. Essere cristiani è camminare insieme alla sequela del Signore. La sinodalità dovrebbe essere un atteggiamento che coinvolge tutta l’esistenza dei credenti: pensare insieme, progettare insieme, sentire insieme, discernere insieme, credere insieme, evangelizzare insieme. Dio ama ognuno di noi come un essere unico e irrepetibile, ma ci vede come membri del suo popolo, non ci guarda staccati l’uno dall’altro! Egli ci vede insieme!
La sinodalità deve essere innanzitutto uno stile di vita. Poi anche un metodo pastorale.
Il 26 novembre p.v. ricorderemo i 10 anni della celebrazione conclusiva alla Mostra d’Oltremare dell’VIII Sinodo della nostra Chiesa diocesana. Non vuol essere un ricordo nostalgico, ma una opportunità per mettere a fuoco lo stile sinodale della nostra Chiesa e rinverdire il metodo sinodale, in particolare nelle nostre comunità parrocchiali. Luoghi privilegiati per esprimere la sinodalità sono gli organismi di partecipazione.
La Chiesa ed ogni suo membro non possono non essere missionari. La Chiesa è missionaria.
Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, che ci ha guidato durante il Convegno, Papa Francesco arriva ad affermare: Io sono missione. «La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il maestro nell’animo, il politico nell’animo, quelli che hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri. Tuttavia, se uno divide da una parte il suo dovere e dall’altra la propria vita privata, tutto diventa grigio e andrà continuamente cercando riconoscimenti o difendendo le proprie esigenze. Smetterà di essere popolo» (n. 273).
La Chiesa – come ha ricordato il Papa questa mattina ai catechisti – ha una missione specifica annunciare a tutti: «il Signore Gesù è risorto, il Signore Gesù ti ama, per te ha dato la sua vita; risorto e vivo, ti sta accanto e ti attende ogni giorno. (…) Gesù ti ama veramente, così come sei. Fagli posto: nonostante le delusioni e le ferite della vita, lasciagli la possibilità di amarti. Non ti deluderà». «E’ amando che si annuncia Dio-Amore: non a forza di convincere, mai imponendo la verità, nemmeno irrigidendosi attorno a qualche obbligo religioso o morale. Dio si annuncia incontrando le persone, con attenzione alla loro storia e al loro cammino».
Carissimi sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, carissimi operatori pastorali, sorelle e fratelli tutti, nessuno di noi faccia mancare il suo specifico contributo per rendere la nostra Chiesa sinodale e missionaria.
Maria santissima, madre e modello della Chiesa, ci accompagni in questo cammino.
+ Gennaro, vescovo
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(foto di Raffaele Esposito)