Un sorriso coinvolgente, un dinamismo dimostrato fino agli ultimi giorni. Tramite facebook era spesso lei ad incoraggiare chi si rammaricava nel vedere la sua malattia peggiorare. «Grazie per la tua breve e intensa vita… per la tua vita piena», così scrive don Mario Russo, direttore della pastorale diocesana giovanile, l’attività nella quale Imma Di Costanzo si è sempre distinta per il suo impegno. Ci piace ricordarla con le foto e l’articolo del suo viaggio in Africa, pubblicato su Segni dei tempi di novembre 2013.
Non è semplice spiegarlo a te stessa, soprattutto quando questo viaggio rappresenta la realizzazione di un sogno coltivato con tanto impegno e tanta fatica.
Impegno, perché questo viaggio arriva dopo due anni di cammino guidato dal direttore dell’Ufficio missionario diocesano, don Pasquale Mancuso e dal vice direttore Antonio Mattera. Fatica, perché i nostri genitori spesso ostacolano un viaggio così inconsueto, in un paese lontano dove, nella loro concezione, ci attende il patire, la fame e le malattie.
Ma quando i nostri sogni sono anche quelli di Dio, allora non c’è niente e nessuno che possa ostacolare la loro realizzazione…
Ed è così che dal 18 luglio al 4 agosto, insieme alla mia cara amica Elena e ad altri volontari, abbiamo fatto visita alla Missione di Mulagi in Uganda che nasce nel 1996 ad opera della Congregazione Ancelle Eucaristiche di Melito di Napoli. Accompagnati dal socio fondatore dell’Onlus “I Care”, Antonio Mallardo, abbiamo trascorso i primi giorni nella capitale Kampala, per poi spostarci nei villaggi della zona di Mulagi e Soroti.
Abbiamo visitato molti villaggi (tra cui Myangole, Kidetok, Opucet, Shalom, Okunguro) partecipando alle cerimonie di inaugurazione dei pozzi d’acqua, costruiti grazie ai fondi raccolti attraverso donazioni, fiere, mercatini e lotterie organizzate dalla Onlus “I Care”. Ed è proprio nei villaggi che comprendi perché, tornati a casa, si soffre del famoso “mal d’Africa”, quella strana sensazione di nostalgia che ti porti dentro per tutta la vita.
Ogni minuto varrebbe la pena di essere raccontato perché è tutto completamente differente dal nostro mondo. All’inizio pensi di non farcela. Bisogna affrontare situazioni come la scarsità dell’acqua, mancanza di norme igieniche. Ma lentamente qualcosa è cambiato: iniziavo a pensare meno a quello che lasciavo alle spalle e accoglievo quanto quell’Africa poteva darmi. E il continente nero mi ha dato principalmente Gesù Cristo. La sua presenza l’ho sentita forte. Nel lento scorrere dei giorni ti rendi conto che Gesù lo si incontra più facilmente nei poveri. In fondo, lui aveva scelto proprio di essere povero. Non possedeva ricchezze e denaro: visse povero. Gesù aveva un cuore semplice, era dolce e pensava sempre a chi lo circondava.
Ed io così immagino il mio Signore: mentre faceva del bene dovunque, con un’infinita attenzione e cura verso gli altri; mentre si privava di qualcosa di suo per donarlo agli altri.
Quella gente, il popolo africano, è simile a lui. Ho visto poveri che portano la loro offerta all’altare e il giorno dopo venivano a chiedere la carità, perché non avevano nulla da mangiare. Il senso di fratellanza, che per noi sta diventando solo un ricordo, lo avverti in tutti i loro modi di fare. Ho visto donne che facevano quello che faceva Gesù: dividere il pane.
Nei villaggi dell’Uganda mi è sembrato di vedere Gesù Bambino che correva felice incontro a noi “bianchi” per avere una caramella. Mi è sembrato di sentirlo tra le risate sincere dei ragazzini di fronte ad un gioco o una canzone inventata per loro. Gesù era nell’istituto dei non vedenti a Soroti: bambini nati ciechi e per questo motivo abbandonati, ma felici!
Gesù, mi è sembrato di vederlo, anche sul volto dei sofferenti al Dispensario di Mulagi. Gesù era in quei visi invecchiati dei bambini.
I poveri sono grandi. Hanno una grande dignità. Ci danno molto di più di quello che noi diamo a loro. Per questo si ritorna a casa con la sensazione di non aver fatto niente! Dio non aspetta noi per portare la fede in Africa o risolvere tutti i loro problemi. Il popolo africano gli appartiene. A noi chiede solo di portare una carezza, un sorriso.
C’è una gioia grande nel dare. Ringrazio il Signore per questa esperienza. Più passa il tempo e più mi accorgo che tutto ciò che mi circonda è segno di Dio.
Il 22 settembre nella parrocchia “Santa Famiglia” a Pianura abbiamo celebrato la Santa Messa, presieduta dal nostro vescovo Gennaro Pascarella che ha concluso il momento celebrativo del Convegno Diocesano “Giovani e Fede”.
Durante la Messa, otto giovani scelti in rappresentanza delle otto foranie, hanno ricevuto il mandato missionario. Tra gli otto c’ero anch’io. Don Mario Russo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile, tra i tanti giovani della Forania Pozzuoli 1 ha scelto me, o meglio, il Signore, attraverso la sua persona ha voluto che fossi io a ricevere la croce, segno della carità di Cristo e della nostra fede.
Quindi sento forte il desiderio di rivolgermi ai giovani come me, ai sacerdoti, alle religiose, a quanti si occupano della pastorale giovanile: mettiamo in atto la nostra sensibilità per tirare fuori ciò che tutti noi abbiamo dentro. I miei ringraziamenti vanno anche al caro amico Antonio Mattera.
Sono certa che noi giovani possiamo trovare la nostra gioia nell’impegno ad aiutare il prossimo. In questo modo non soltanto potremmo risolvere i problemi degli altri ma avremmo risolto anche i nostri.
Mi rivolgo a te che stai leggendo queste mie parole: Coraggio, non aver paura! Ascolta quel desiderio di Missione che anima e spinge il tuo cuore. Come diceva don Tonino Bello: “Stavolta non sfuggi. Il Signore ce l’ha con te. La sua mano tesa ti ha individuato nella folla. Non voltarti indietro e non guardarti accanto. Ecco, risuona un nome: il tuo. Quell’indice ti raggiunge e ti inchioda a responsabilità precise che non puoi scaricare su nessuno. Anche tu per evangelizzare il mondo”.
Imma Di Costanzo