Alcune brevi riflessioni, forse scollegate tra loro, e forse no.
La prima scaturisce dalla mia passione per Simone Weil. Di origine ebraica, fu insegnante, filosofa, operaia, anarchica e mistica. E, secondo san Paolo VI, degna di essere proclamata santa se solo fosse stata battezzata (in realtà, solo da una decina di anni si è scoperto che due ore prima di morire, nel 1943, chiese il battesimo). Ho letto quasi tutta la sua opera, a partire da quella che le aveva chiesto De Gaulle per poter avere degli spunti su come ricostruire la Francia del dopoguerra (ma, dopo averla letta, il Generale la cestinò con un unico, sprezzante, commento: «È una povera pazza!»). In essa Weil delineava il futuro della Francia, e di un’Europa unita, a partire da un profondo rinnovamento spirituale (l’opera non a caso in originale si chiama “Il radicamento”): in caso contrario, diceva, se l’Europa fosse stata una mera entità politica o economica, ben presto si sarebbe disgregata, i nazionalismi avrebbero ripreso il sopravvento. Oggi, si vede quanto fosse profetica questa previsione, dal momento che l’Europa costruita a partire dall’economia e dalla moneta unica sta naufragando miseramente, e i populismi stanno dilagando.
Qualche giorno fa, su Internet ho ritrovato questo pensiero di Simone Weil: «Là dove le opinioni irragionevoli prendono il posto delle idee, la forza può tutto. È per esempio molto ingiusto dire che il fascismo annienta il pensiero libero; in realtà è l’assenza di pensiero libero che rende possibile l’imposizione con la forza di dottrine ufficiali del tutto sprovviste di significato». Come dire: se non c’è pensiero libero e spirito critico, la forza bruta e la negazione della dignità umana prevalgono.
La seconda riflessione prende lo spunto dall’iniziativa di un giornale: mettere in rete, sotto forma di webserie, i pensieri di viaggiatori pendolari in città. Molti hanno fatto quest’interessante scoperta: se lungo il viaggio in bus o in metro non si guarda unicamente il proprio cellulare, può capitare di scoprire che siamo circondati dagli altri, e anche da tante cose belle. Ovvio? Banale? Sì, ma ci ricorda che se riuscissimo per qualche minuto a non essere più dipendenti anche solo da quel dannato aggeggio che sembra connetterci a tutto (ma ci disconnette dalla realtà), si può spalancare ai nostri occhi la bellezza della vita.
E “La Bellezza della Vita” è il nome, come molti sanno, di un progetto elaborato dall’Ufficio per la Pastorale Scolastica, in collaborazione con molte scuole del territorio, e numerose associazioni. Il tema di quest’ultimo anno (il progetto è stato articolato in tre annualità) quasi sintetizza quanto detto finora: no ad ogni forma di dipendenza, sì all’incontro, alla condivisione, alla solidarietà. Perché se un pensiero non libero apre la strada alla negazione irrazionale di ogni umanità, la libertà interiore apre alla gioia della scoperta dell’altro. Tutto ciò è particolarmente rilevante oggi che sperimentiamo nuove e molteplici forme di dipendenza, spesso nascoste o fatte passare come “libertà”: si pensi ai cellulari, ai social (che misurano la persona in base ai like o ai followers), alla pornografia, al gioco nelle sue diverse forme, che spesso sfocia in pericolose ludopatie, e così via… Tutto ciò non solo annulla la vera libertà dell’uomo, ma apre anche la strada a rabbia, frustrazione, violenza, odio soprattutto verso i più deboli, gli emarginati, i “diversi” da noi. Per questo, un autentico rinnovamento culturale comporta la presa di coscienza dei legami e dei vincoli che ci mantengono asserviti e subordinati, e permette di sperimentare la vera libertà, anche quella di rifiutare ciò che è contrario all’essere veramente uomini. Il “nuovo umanesimo” che come cattolici siamo chiamati a elaborare deve avere il fine di renderci profondamente liberi e deve spingerci ad operare perché la realtà di tutti i giorni venga trasformata, a somiglianza della Bellezza intravista. Aiutare gli uomini a sperimentare questa Bellezza, o anche a provare l’acuta nostalgia della sua assenza, è per me la grande sfida di oggi per la Chiesa.
Pino Natale