«Proibirci qualcosa è farcene venire la voglia» diceva lo scrittore francese Michel de
Montaigne. Che cosa c’è da sapere su un luogo straordinario nel mare tra Napoli e
Pozzuoli? Un posto sotto gli occhi di tutti a cui ne è proibito l’accesso salvo casi
particolari? Nell’area di fronte a Coroglio e nella X Municipalità di Napoli, tra l’altro,
ci sono i resti di antichi edifici religiosi di culto e strade ancora in uso realizzate dagli
stessi ospiti dell’antico Bagno Penale. Ripercorriamo le tappe più antiche della sua
storia.
Nisida da sempre ha rappresentato e ancora riproduce una risorsa ambientale e
naturalistica di straordinaria importanza. Il poeta romano Publio Papinio Stazio, che
conosceva bene quei luoghi naturali, parlò della selva che ne copriva la cima e delle
esalazioni malefiche che provenivano dal suolo dell’ex cratere vulcanico. Plinio il
Vecchio decantò le lodi dei suoi asparagi, i migliori che avesse mai mangiato, mentre
l’erudito Ateneo, scrittore egizio di lingua greca attivo nell'età imperiale, citò il gran
numero di conigli che popolavano l’isola.
E anche Benedetto Croce, nelle sue Storie e leggende napoletane (1919) si soffermò
su piante e colori: «Venendo da Napoli per la via Nuova di Posillipo, di dietro all'altra
collina tufacea crestata di elci e di querce, spunta il primo lembo della verde isoletta,
e poi la si ha tutta innanzi, piccola e snella, cosparsa di rare case bianche, recante
come ghirlanda sul capo il rotondo suo castello, nell'abbagliante azzurro del cielo e
del mare».
Il nome deriva da Nesís (isola in greco) o Nesida (piccola isola). Sulla sommità vi
costruì una villa Lucio Licinio Lucullo; possedeva una casa di appoggio anche Marco
Giunio Bruto: qui ospitò Cicerone e, insieme a Gaio Cassio Longino, avrebbe
organizzato la cospirazione contro Giulio Cesare. Nel IV secolo l’imperatore
Costantino ne fece un bene patrimoniale a favore della basilica napoletana di Santa
Restituta.
Nell’Età di mezzo l'isola ospitava una comunità di religiosi nel monastero di
Sant’Arcangelo de Zippiera, dal nome di Nisida (Zippium) in uso all’epoca medievale.
Adriano, monaco benedettino, abate della comunità presente a Gipeum, partì da
Nisida, inviato nel 667 da papa Vitaliano come ambasciatore in una Inghilterra da
poco cristianizzata. Nella seconda metà del XIV secolo, sull’antica villa fu congegnata
una Torre, a guardia di quel tratto di mare. Anche Giovanna II d'Angiò nel XV secolo,
vi possedette una villa, convertita in castello.
Il viceré don Pedro de Toledo organizzò l’isola come acropoli fortificata per
contrastare le incursioni sulle coste napoletane del pirata Barbarossa. A metà ‘700
era presente la chiesetta dell’Immacolata, sulla salita di Nisita posta sul versante
verso la terraferma, la piccola costruzione fu restaurata nel 1922. Due ingressi
principali della struttura conducono al campanile, oggi semidistrutto; alcuni
ambienti sotterranei della costruzione comunicano con l’ipogeo, probabilmente
Terra Santa con molte lapidi sepolcrali del ‘700-‘800 oggi in abbandono; di metà
‘800 pure una Cappelletta del cimitero dei condannati del Bagno Penale anch’essa in
abbandono.
Sullo scoglio antistante, detto il Chiuppino, fu costruito tra il 1626 e il 1628 un
lebbrosario detto Lazzaretto, ovvero un ricovero per la quarantena di possibili malati
di peste, ma anche per la sosta di animali e merci. Tra il 1834 e il 1847 lo scoglio del
Chiuppino (o Coppino) fu collegato alla vicina isola su progetto dell’architetto De
Fazio. Nel 1935 Nisida, l’antica “Isoletta delle Capre”, fu congiunta alla terraferma da
una carreggiata che l'ha definitamente trasformata in penisola.
Le strade che tuttora percorrono l’isolotto furono costruite con il contributo degli
stessi detenuti. Nel 1894 Benedetto Croce fece una visita all’isola. Tra le altre
considerazioni sulle condizioni dei prigionieri, Croce propose che le strade del posto
fossero chiamate con i nomi del Risorgimento, come Salita Moro e Bandiera, Salita
Fratelli Cairoli, Via Fratelli Bandiera, Strada Tommaseo, Porta Carlo Poerio, Porta
Pia, Cisterna Paleòcapa. Nelle prigioni dell’isola nell’epoca borbonica furono infatti
ospitati molti patrioti: fu la nostra fortezza Spielberg, visitata anche da politici
inglesi.
L’unico odonimo rimasto è Salita La Farina, strada che da via Nuova Nisida porta
all’IPM Istituto Penale per Minorenni e alla rocca della torre-castello Piccolomini del
1554.
Altri odonimi isolani legati alle diverse zone di colture orticole del posto, usate fin
dal 1862 per la scarna coltivazione agricola dell’isola, erano: Piano della Grotticella
(coltura di cipolle); Piana del Castello (coltura di fave); Discesa delle Giardinelle
(colture varie). In un’area detta Le Tartane vi erano alcune cisterne per la raccolta
delle acque piovane, perché l’isola ne era ed è tuttora priva di fonti o falde
acquifere.
Quanto al Novecento, sarebbero tante le vicende da raccontare: dall’osservatorio di
Lamont Young agli idrovolanti sul litorale bagnolese, dalle sedi Nato e
dell’Aeronautica alle visite di Eduardo e della Chiesa di Pozzuoli e persino alla
proposta di trasformare l’insenatura di Porto Paone in un delfinarium. Ma tutto ciò è
un’altra storia.