Martedì 21 maggio, alle ore 19.15, nella parrocchia San Castrese a Quarto, si svolgerà l’incontro “La preghiera carismatica”, curato da don Marcello Schiano.
La serata – organizzata nella chiesa San Castrese, guidata dal parroco don Marco Montella – s’inserisce nel ciclo di sei incontri organizzato dalla Scuola di Formazione Teologica della Diocesi di Pozzuoli, nell’ambito dell’Anno della Preghiera 2024 e verso il Giubileo del 2025, sei tappe per approfondire la centralità della preghiera nella vita cristiana.
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Prossimi appuntamenti:
Martedì 21 maggio, ore 19.15 – Parrocchia San Castrese – Quarto
“La preghiera carismatica” – don Marcello Schiano
Martedì 8 ottobre, ore 19.15 – Parrocchia San Lorenzo martire – Pianura
“La meditazione nell’esperienza cristiana” – don Pino Natale
Martedì 5 novembre, ore 19.15 – Parrocchia Santa Maria del Buon Consiglio – Bacoli
“Magistero, santi e pietà popolare” – dott. Fabio Cutolo
Martedì 10 dicembre, ore 19.15 – Parrocchia Maria SS. Desolata – Bagnoli
“La Parola di Dio pregata” – don Enrico Campisano
I primi incontri si sono svolti martedì 5 marzo, nella parrocchia Santa Maria Immacolata a Fuorigrotta, sul tema “Pregare nella Scrittura”, curato da don Alessandro Scotto, e martedì 16 aprile, nella parrocchia Sant’Artema a Monterusciello, sul tema “La preghiera nella tradizione dei Padri”, curato da don Roberto della Rocca.
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Perché insegnare a pregare. Un ciclo di sei incontri diocesani
«Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Questa richiesta mi ha sempre colpito, anzi di più: mi ha fatto nascere domande. E sin da piccolo, da quando cioè ricevetti in dono dal mio parroco di allora – don Pasquale Borredon, che da presbitero avrei ritrovato come amico e padre – un piccolo vangelo, per la mia Prima Comunione. Lo conservo ancora, e lo sfoglio in continuazione. Lo lessi tutto, e più volte, e mi entusiasmava. Ma quella cosa lì, non la capivo. Perché chiedere di “insegnare” a pregare? Tutti diciamo le preghiere, tutti conosciamo le parole per rivolgerci a Dio (beh, non lo dicevo proprio così, a 10 anni, ma il contenuto era questo): che bisogno c’è di imparare a pregare, e che un altro ci insegni? Anche perché – ma la considerazione l’avrei aggiunta anni dopo – i discepoli di Gesù erano brava gente, che andava in sinagoga tutti i sabati, e che pregava tre volte al giorno. Insomma: che bisogno c’era di chiedere di “insegnare” a pregare? Lo facevano già! Facevo poi un’altra riflessione adolescenziale: se uno insegna e un altro deve imparare… ma che, stiamo a scuola? Ora, a me piaceva andare a scuola, ma non sapevo come si potesse parlare di “scuola” nel campo della preghiera, che per me (e per tanti) era qualcosa di assolutamente naturale.
Ho ripensato a tutto questo quando a febbraio (il 26 febbraio nell’Auditorium del Seminario di Pozzuoli) è stato presentato un ciclo di sei incontri diocesani “per approfondire la centralità della preghiera nella vita cristiana”, in occasione dell’Anno della Preghiera che ci introduce al Giubileo 2025. Il tutto pensato da alcuni sacerdoti (un’iniziativa nata “dal basso”, dunque, come si diceva un tempo) e promosso dalla Scuola di Formazione Teologica per operatori pastorali. Un’iniziativa meritoria, che viene a colmare un vuoto evidenziato più volte anche da queste colonne, e che, come tutte le cose, avrà bisogno di rodaggio e che crescerà senz’altro nel tempo (il ciclo di incontri è solo un primo momento di un cammino più lungo). In sede di presentazione ho potuto dunque dare una risposta a quella domanda: perché insegnare a pregare, se è naturale? E che c’entra la Scuola Teologica? Il fatto è che non è “naturale” pregare, anzi… Pregare significa porsi con tutta la propria realtà di persone deboli, fragili, limitate, alla presenza di Dio, e questo spaventa, perché ci si scopre nudi. E come Adamo, nel momento in cui diventiamo consci della nostra nudità, corriamo a nasconderci dinanzi a Dio.
Dobbiamo allora imparare a sentirci accolti, amati e non giudicati, anche se limitati e peccatori: e qualcuno ce lo deve pur insegnare. Perché la preghiera (che è cosa diversa dal “dire le preghiere”, ovviamente) è stare nudi alla presenza dell’Amore che rigenera e dà vita: è cambiare noi stessi, non gli altri o le cose. Ma per questo, c’è bisogno di un Maestro interiore che ce lo insegni e di testimoni che ce lo ricordino. In questo senso, sì, la richiesta non solo è giusta e corretta (Signore, insegnaci a pregare!), ma è anche doverosa: dovremmo tutti, sempre, chiedere al Maestro di ammetterci alla sua scuola per scoprirci figli amati! L’uomo nuovo di questo tempo pasquale nasce e si alimenta proprio nella preghiera, che attinge alla Risurrezione di Cristo. Non è nemmeno sbagliato, peraltro, il collegamento con la teologia, che ai più può sembrare un affare di testa e non di cuore, dunque distante dalla preghiera. Non è così. Evagrio Pontico, un Padre del IV secolo, in modo incisivo affermava che «se sei teologo pregherai veramente, e se preghi veramente sei teologo». Il teologo è colui che si accosta con timore e trepidazione al mistero di Dio, e cerca di trovare le parole per dire ciò che non può essere detto (sarà sempre un balbettare, quello del teologo), ma lo stesso è per chi prega. Per molto tempo si è parlato di “teologia in ginocchio”, nel senso che la vera riflessione di Dio si fa nella preghiera in ginocchio, nel silenzio, nella meditazione e nell’ascolto della sua Parola.
Mi sembra che, a questo punto, non possa esserci migliore conclusione di quella affermazione di Karl Rahner, un gigante della teologia cattolica del XX secolo, che diceva: «Nel nuovo millennio il cristiano o sarà un mistico, o non sarà», intendendo per mistico una persona che ha messo l’esperienza di Dio fatta nella preghiera profonda al centro della sua vita.
Pino Natale