I tre giorni di Convegno Nazionale per il Sinodo, tenutosi a Roma dal 15 al 17 novembre, hanno rappresentato un momento di profonda riflessione, condivisione e apertura per la Chiesa italiana. È stato un evento straordinario, non solo per i temi trattati, ma per il clima di ascolto e partecipazione che ha coinvolto tutti i presenti, dai vescovi ai laici. La bellezza del luogo che ci ha ospitati, la Basilica di S. Paolo fuori le Mura, carico di storia e spiritualità, ha contribuito a creare un’atmosfera di raccoglimento che ha favorito un lavoro intenso e fruttuoso. Fondare ogni giornata sulla preghiera ci ha aiutati a mantenere saldo il legame tra il nostro impegno sinodale e la missione evangelica, illuminando ogni momento di confronto e discernimento. I tavoli sinodali si sono svolti in un clima di dialogo autentico e il confronto che ne è derivato è stato vissuto con rispetto e apertura divenendo per ciascun partecipante vera occasione di crescita. Il Convegno ha lasciato in me un senso di speranza e di profonda responsabilità, infinita gratitudine per i momenti di formazione, confronto e preghiera che hanno arricchito non solo la mia spiritualità ma anche la mia consapevolezza del ruolo della Chiesa nella società contemporanea. Siamo tutti chiamati a essere protagonisti di una Chiesa che, camminando insieme, sa testimoniare l’amore di Dio al mondo. Le Chiese campane, con il loro patrimonio di fede e tradizione, si trovano oggi di fronte a sfide pastorali importanti: l’evangelizzazione in contesti sempre più secolarizzati, la testimonianza cristiana in situazioni di povertà e marginalità, e la cura delle nuove generazioni. L’Assemblea sinodale per noi Chiese del Sud costituisce davvero l’occasione per ripensare le priorità pastorali e individuare nuove strade per annunciare il Vangelo in modo credibile e incisivo. Il mio punto di riflessione è stato il tavolo 96 in cui abbiamo avuto modo di approfondire il tema del “rinnovamento della gestione economica dei beni”, un argomento che ritengo centrale per il futuro della Chiesa. Ho apprezzato particolarmente le riflessioni sulla necessità di maggiore trasparenza nella gestione dei beni ecclesiastici ed è emerso che questo non solo rafforza la fiducia dei fedeli, ma rappresenta anche un modo per incarnare i valori evangelici nella dimensione economica. Il tema della “sostenibilità economica” è stato centrale e ci siamo confrontati non solo su come conservare le risorse, ma anche sul come trasformarle in strumenti di crescita spirituale e materiale per le comunità future. Non si tratta quindi solo di garantire la sopravvivenza delle opere ecclesiali, ma di rinnovare i modelli gestionali affinché siano coerenti con i principi etici e ambientali. Questo ci ha ispirati a riflettere su soluzioni innovative che uniscano efficienza economica e attenzione al bene comune, come l’uso di energie rinnovabili o investimenti etici. Ho trovato particolarmente interessante il concetto di una gestione più partecipativa e comunitaria dei beni della Chiesa e sono pronta a dare il mio contributo affinché la gestione dei beni diventi principalmente un segno tangibile di fede, servizio e comunione. I tempi sono maturi per valorizzare gli immobili ecclesiali anche come spazi per iniziative comunitarie, questo significa renderli fruibili per il bene comune, magari con la collaborazione di enti pubblici, associazioni culturali o organizzazioni no profit. Nella gestione dei beni, spiritualità e responsabilità concreta si intrecciano mettendo in luce che l’amministrazione delle risorse non è solo un atto tecnico, ma un’espressione della missione evangelica. I beni della Chiesa sono doni, pertanto richiedono un atteggiamento di custodia e non di possesso; ne consegue che devono essere gestiti con un profondo senso di responsabilità e rispetto. La Chiesa non può permettersi che i beni venduti vengano utilizzati per fini contrari ai valori cristiani, come speculazioni economiche o progetti che danneggiano l’ambiente e il tessuto sociale; centrale, di conseguenza, diviene l’uso etico dei proventi derivanti dalla dismissione dei beni stessi. Non va neanche sottovalutato il fatto che spesso i beni ecclesiastici hanno un valore affettivo e identitario per le comunità locali. La dismissione, lì dove risulta un’operazione necessaria, deve essere accompagnata da un dialogo rispettoso con i fedeli, per evitare che si sentano esclusi o traditi. Questo approccio sinodale richiama l’importanza del dialogo e del discernimento collettivo, mette al centro la memoria e la sensibilità della comunità, in modo che ogni decisione rifletta i bisogni reali e le priorità della missione pastorale; ogni negoziazione deve essere attenta e trasparente e deve tener conto principalmente dell’impatto etico e sociale della sua nuova destinazione. Questo Convegno mi ha dato la motivazione per proporre, nella mia diocesi, iniziative che rendano più evidente il legame tra fede e gestione dei beni. Penso, ad esempio, a percorsi di formazione per amministratori parrocchiali e a momenti di dialogo con i fedeli sulle scelte economiche. Mi sento chiamata ancora di più a fare la mia parte affinché l’amministrazione economica sia sempre più trasparente, partecipata e orientata al bene comune, diventando un segno concreto della nostra fede e del nostro impegno cristiano. Al termine di questo convegno, auguro a me stessa la capacità di discernere con saggezza le scelte migliori, specialmente nelle situazioni difficili e complesse, mi auguro di avere il coraggio necessario per affrontare scelte che, pur non essendo sempre popolari, sono giuste e necessarie per il bene della Chiesa, mi auguro di non limitarmi a gestire il presente ma di avere sempre uno sguardo orientato al futuro, di restare umile e aperta all’ascolto dello Spirito Santo e di essere una fedele testimone del Vangelo.
Pina Trani
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