Scrivo queste note mentre il mondo si stava iniziando a preoccupare per gli incendi in Amazzonia. E fa bene, perché – si dice – l’Amazzonia è il polmone verde del mondo, quello che permette alla Terra di respirare. Ma della deforestazione dell’Amazzonia, della politica sciagurata dei grandi latifondisti e dell’attuale Governo brasiliano, e persino degli incendi stessi, se ne parla da anni e anni, ricordo che io ero ragazzo e già qualcuno iniziava a preoccuparsi (e sottolineo il verbo “iniziare”). Se comprendo bene, allora, è come se una persona iniziasse a preoccuparsi 20-30 anni dopo che un medico gli avesse diagnosticato un tumore gravissimo ai polmoni! Mi chiedo: è ragionevole? Senza contare che la preoccupazione dei 7 Paesi più ricchi del mondo li ha spinti ad offrire aiuti per 20 milioni di euro, offerta prontamente rifiutata. Nell’ultimo calciomercato, un calciatore come Lozano è costato alla società sportiva del Napoli più del doppio: 42 milioni! Insomma, è come se una persona si iniziasse a preoccupare di un tumore diagnosticato anni e anni fa, e lo manifestasse spendendo meno di una pizza in un locale… Lo so, sto esemplificando troppo, e in modo superficiale. Ma voglio solo sottolineare che sarebbe davvero il caso di iniziare a preoccuparsi, perché la gravità della situazione è inaudita, qui è in gioco il futuro della vita sulla Terra. Ovviamente, non mi riferisco ai soli incendi in Amazzonia, ma a tutto ciò che riguarda le gravi ferite che stiamo infliggendo all’ambiente. Queste ferite sono molteplici, e lo testimoniano alcune notizie che ho raccolto un po’ alla rinfusa in quest’ultimo periodo.
Ad esempio, quella dello scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia a causa delle elevate temperature, al punto che in un solo giorno (mercoledì 31 luglio) si sono riversati in mare circa 10 miliardi di tonnellate di acqua (e in un mese oltre 197 miliardi di tonnellate d’acqua). Tutto ciò riguarda anche i ghiacciai delle Alpi (ne scompare ogni anno il 3%), con gravi ripercussioni sulla fornitura idrica e l’irrigazione. O come quella del Salento, prima segnato da sconfinate distese di ulivi, ridotto a un deserto desolato a causa delle migliaia di olivi che si sono dovuti abbattere per colpa del parassita della xylella. Che dire poi di quella notizia della busta di patatine raccolta all’isola d’Elba sulla spiaggia, con intatta ancora la data di scadenza: 2 settembre 1990? Dopo quasi 30 anni, il mare non è riuscito a distruggerla, e l’ha risputata fuori come un corpo estraneo… Ma colpisce anche la notizia dei cinque km quadrati di litorale che ogni anno il mare ingoia in Sicilia, o quella che a Marina di Massa in Versilia il mare ha distrutto negli ultimi 40 anni 90 metri di terra.
Tutto ciò ha un riflesso anche su tematiche apparentemente distanti, come l’emergenza alimentare e l’immigrazione: circa 500 milioni di persone vivono in aree soggette a desertificazione, vulnerabili ai cambiamenti climatici e a siccità, ondate di calore e tempeste di polvere, e si calcola che entro il 2050 oltre 150 milioni fuggiranno da tutto ciò dando origine al più imponente fenomeno migratorio della storia. Potrebbe sembrare uno di quei film “catastrofici”, e forse per qualcuno sono inutili allarmismi. Fortunatamente le voci che tendono a minimizzare la gravità della questione sono sempre meno: sta crescendo la sensibilità per queste tematiche, e i giovani sono in prima linea nel rendersi conto che non si tratta di sciocchezze (ma d’altra parte, è in gioco il loro futuro!). A me sembra che questa del rispetto della “casa comune” sia la vera sfida pastorale del futuro.
Lo stesso annuncio cristiano, se vuole essere significativo oggi, deve saper parlare di un modo diverso di vivere in questa “casa”. Papa Francesco, nella Laudato si’, ha iniziato a farlo, ha saputo parlare di questo in modo cristiano all’uomo di oggi: ma quanto si è compreso ciò? Forse che nella nostra pastorale concreta si riflette l’insegnamento della Laudato si’? Ma c’è di più: quanti l’hanno veramente letta, o fatto oggetto di riflessione? La domanda ancora più radicale è però un’altra: quanto siamo disposti a cambiare il nostro attuale stile di vita per garantirci un futuro? Come afferma la Laudato si’ (n. 9), si tratta di passare «dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che “significa imparare a dare, e non semplicemente a rinunciare. È un modo di amare…”». Siamo davvero pronti a farlo, o ci basta lamentarci sterilmente del caldo in estate?
Pino Natale