Lo scrittore Len Cooper dall’Alabama razzista a Nisida. «Vi racconto la mia storia nella Napoli che accoglie»





I soprusi subiti nello Stato dell’Alabama da ragazzo di pelle nera nel periodo più brutale della segregazione razziale. Una storia di riscatto che ha molto da insegnare a chi sogna una vita migliore ed è disposto a lottare per i suoi valori fondamentali. Ed ora che a Napoli ha trovato la sua casa, dopo una vita trascorsa a lottare per combattere le ingiustizie, Len Cooper, scrittore e giornalista con un ruolo di primo piano presso il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ha raccontato la sua storia di riscatto e di coraggio ai giovani detenuti del carcere di Nisida nel corso dell’evento promosso dalla Federazione Italiana Donne Dottori commercialisti ed esperti contabili, patrocinato dall’Ordine dei Giornalisti della Campania. Una testimonianza resa nell’ambito del “Black History Month”, ricorrenza osservata nel mondo anglosassone per promuovere lo studio e la conoscenza della cultura africana all’interno della scuola pubblica e per sensibilizzare l’opinione pubblica all’integrazione e alla comprensione del “diverso” come antidoto all’emersione di nuove derive razziste.

Len racconta la sua storia nel libro autobiografico “The Children of my knee” (Createspace Independent Pub ed.), dove narra i soprusi subiti da un ragazzo nero americano nato a Birmingham (Alabama) nel periodo più brutale della segregazione. La sua è una storia di riscatto e di coraggio. Una storia commovente che ha molto da insegnare a chi desidera una vita migliore, a chi nel buio della sua esistenza non perde la speranza e per chi si preoccupa di accogliere il “diverso”. Oggi vive a Napoli, che definisce “la mia casa”, facendo riferimento alla generosità, alla tolleranza e all’apertura nei confronti del diverso. “Sono qui a Napoli da dodici anni, la gente qui è stata sempre estremamente gentile con me, con uno sconosciuto. Sono ospite in questa città, in questo Paese, e cerco di comportarmi al meglio ogni ora di ogni giorno. Adoro questa città e quando verrà il giorno di lasciarla, sono sicuro, così come quando sono venuto in questa città, piangerò”. Ed ancora: “Ho voluto fortemente raccontare la mia storia in un luogo che accoglie chi è privato della libertà personale e che è chiamato a riflettere sulla propria condizione – spiega Len – per testimoniare che anche quando sembra impossibile, la vita può poi offrirci occasioni di riscatto e di rinascita. Ma bisogna volerlo fortemente. La scrittura mi ha aiutato molto in questo percorso di rinascita ma ciascuno di noi ha le chiavi per aprire nuove porte lungo il proprio percorso”.

Nel suo libro autobiografico parla della polveriera razziale del profondo Sud durante la sua infanzia, mostra come il retaggio della schiavitù persisteva anche dopo la sua abolizione. Pagina dopo pagina il lettore si immerge in una storia di vita segnata da mille sofferenze e torture. Ma Len non si arrende, decide di viaggiare e proprio un viaggio, quello a Gerusalemme, gli cambia la vita. Poi il lavoro al Washington Post e il successo che arriva con “The Children of my knee”. Il racconto della vittoria sulle circostanze più avverse e che possono sembrare insormontabili.

Eduardo Cagnazzi

 





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