È uno dei risultati emersi da una ricerca condotta in 17 paesi del progetto Media for Democracy Monitor 2020, alla cui realizzazione hanno partecipato – per l’Italia – Christian Ruggiero (Sapienza di Roma), Marinella Belluati (Università di Torino) e Rossella Rega (Università di Siena). Anche il Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II ha partecipato ai lavori per la stesura del report ”CoViD-19 e mezzi di informazione: Devastazione o Rinascita?”–
Due tendenze caratterizzano il panorama dei media nei diciassette Paesi analizzati dal progetto di ricerca Media for Democracy Monitor 2020 dopo il blocco indotto dalla pandemia CoViD-19 nel marzo 2020.
Da un lato, i media che possono contare su una redazione di professionisti hanno raggiunto una maggiore audience e, in taluni casi, hanno visto aumentare il livello di fiducia nei loro confronti. Il servizio pubblico, così come i mezzi di informazione commerciali privati, hanno registrato una forte espansione nella richiesta di contenuti sia offline (televisione, giornali, radio), sia online (siti web, profili sui social media ecc.).
Dall’altro lato, importanti industrie nel settore del commercio e dei servizi hanno sospeso le attività promozionali, portando al crollo dei modelli di business dei media basati sulla pubblicità. Come dato generale, gli introiti pubblicitari del mercato dei media sono crollati di circa il 30-50%, a seconda dei Paesi.
Come conseguenza, centinaia di testate hanno cessato la propria attività o sono passati ad una pubblicazione esclusivamente online.
Per diverse settimane le news relative al CoViD-19 hanno dominato il coverage (la copertura giornalistica) arrivando a coprire fino al 70% dello spazio informativo. Parallelamente, la disinformazione e le fake news sono diventati fenomeni estremamente rilevanti sulle piattaforme digitali.
I governi nazionali hanno reagito sostenendo finanziariamente le organizzazioni e le imprese dei media, anche in quei paesi normalmente avversi a garantire sussidi diretti all’informazione.
Pochissimi governi nazionali – fra i Paesi inclusi nel campione MDM 2020 – hanno sviluppato una strategia per far fronte alla crisi dei media, al di là del salvataggio immediato delle imprese mediali. In Italia, ad esempio, Agcom ha istituito quattro gruppi di lavoro, che includono rappresentanti del settore, per affrontare in modo strutturato gli effetti negativi della pandemia. Una task force ha lavorato (e lavora) ad esaminare la disinformazione online.
La Germania ha istituito un fondo di sostegno ai media di non meno di 200 milioni di euro. Il governo finlandese è tornato al regime di sovvenzioni precedentemente abbandonato. E il governo britannico ha deciso di spendere circa 35 milioni di sterline a sostegno del settore. Altri paesi hanno incrementato sostanzialmente il contributo erogato annualmente: l’Austria ha aumentato i sussidi per la stampa di una volta e mezza, la Svezia ha ampliato il regime di sovvenzioni di 70 milioni di euro e i Paesi Bassi hanno istituito un fondo di sostegno temporaneo di quasi 10 milioni di euro, con un’opzione per altri 24 milioni di euro da settembre a dicembre 2020. Nella maggior parte dei casi, le sovvenzioni sono state destinate a garantire il normale flusso di notizie e a mantenere il personale giornalistico al lavoro. Questo generalmente ha funzionato bene per i giornalisti impiegati in maniera stabile, ma ha trascurato il gran numero di giornalisti free-lance, come mostrano i Rapporti dalla Germania e dal Belgio.
Nel complesso, le osservazioni del panorama dei media nazionali mostrano che le società di media con redazioni professionali e una lunga tradizione di attività sono state indispensabili durante la pandemia. Sono riuscite a riacquistare la fiducia del loro pubblico e a distinguere il loro lavoro professionale dal “rumore” nelle piattaforme digitali.
Durante la crisi pandemica, le persone hanno tendenzialmente riconosciuto e premiato le informazioni affidabili. I governi, d’altro canto, sono stati colti impreparati e le loro risposte finora hanno mirato ad affrontare problemi a breve termine piuttosto che a sostenere riforme strutturali ormai necessarie come risposta all’ambiente digitale in evoluzione.
Franco Maresca