“Chiesa e lavoro. Quale futuro per i giovani nel Sud?”: è il tema su cui rifletteranno l’8 e il 9 febbraio a Napoli le Chiese di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Alla ricerca di percorsi di speranza e d’impegno. “Sentiamo con crescente preoccupazione il bisogno di stare dalla parte dei giovani, futuro del nostro territorio e dell’intero Paese”, dichiara il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e presidente della Conferenza episcopale campana. E monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente del Comitato organizzatore delle Settimane sociali, rimarca che al Mezzogiorno “la ripresa è possibile”, a partire dalle buone pratiche che già ci sono e chiedendo “investimenti specifici” da parte dello Stato “che favoriscano il lancio di imprese”.
Esiste un futuro per i giovani nel Sud? Con i mali che da sempre affliggono il Mezzogiorno – disoccupazione, dispersione scolastica, mancanza di infrastrutture, investimenti pubblici sbagliati, clientele e presenza soffocante della criminalità organizzata -, le prospettive non sembrano rosee. Per restituire speranza a chi non ha più fiducia e non vede la luce alla fine del tunnel, le Chiese di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna promuovono il convegno “Chiesa e lavoro. Quale futuro per i giovani nel Sud?”, che si svolgerà alla Stazione Marittima di Napoli l’8 e il 9 febbraio. L’appuntamento rientra nel cammino di avvicinamento alla 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani (Cagliari, 26-29 ottobre).
“Noi vescovi e tutte le comunità ecclesiali non crediamo di avere risposte o ricette ‘miracolose’ su un problema così complesso e, per certi aspetti, globalizzato, ma sentiamo con crescente preoccupazione il bisogno di stare dalla parte dei giovani, futuro del nostro territorio e dell’intero Paese”, spiega il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e presidente della Conferenza episcopale campana.
Il convegno, allora, vuole essere “un segno di profonda attenzione, vicinanza e prossimità ai giovani offrendo loro alcune proposte concrete, non nella presunzione di poter risolvere la ‘questione lavoro’, ma nel desiderio di voler offrire un’opera-segno, una testimonianza di vita, uno sforzo di convergenza verso politiche attive del lavoro e dell’innovazione, un richiamo alla solidarietà sociale e umana che, partendo dai bisogni primari dei poveri tra di noi, non chiuda comunque le porte ai poveri che arrivano da lontano”. Per dare un domani ai giovani, prosegue Sepe, “sentiamo l’urgenza e la necessità di coinvolgere non solo i fedeli, ma anche istituzioni, associazioni di categoria e sindacati, per collaborare assieme al recupero e alla valorizzazione del territorio, favorendo una consapevolezza più attenta ai comportamenti etici e agli interessi generali della cittadinanza”.
Le preoccupazioni dei vescovi sono fondate: i giovani del Sud sono i nuovi emigranti. Secondo il Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo (2015), l’84,4% di loro si dichiara, infatti, disposto a trasferirsi ovunque pur di trovare un lavoro: all’estero (50%) o in qualunque altra parte d’Italia (34,2%). Dati confermati da uno studio del Censis presentato all’ultima assemblea nazionale di Confcooperative, che mostra una “fuga dei talenti” con pesanti ripercussioni economiche. Solo per l’esodo degli studenti verso gli atenei del Nord, in dieci anni il Sud ha perso 3,3 miliardi di euro d’investimenti in capitale umano e 2,5 miliardi di tasse.
Eppure la ripresa del Sud “è possibile, è una sfida che si può vincere valorizzando innanzitutto il positivo che già c’è”, rimarca monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici italiani.
Proprio al convegno – spiega – verranno presentate “buone pratiche che nascono dalla base e anche in situazioni avverse rendono possibile l’iniziativa giovanile”. Gli esempi sono numerosi: si va “dalla valorizzazione dei talenti nel campo dell’artigianato e dell’agricoltura di eccellenza alla ricerca scientifica e artistica”, sottolinea il vescovo facendo l’esempio di un ragazzo della Città Vecchia di Taranto divenuto, grazie alle sue capacità, disegnatore per la Disney. Poi, da non dimenticare “il recupero dei beni artistici, con cooperative di giovani che s’impegnano nella valorizzazione del territorio, per il turismo religioso e la tutela del patrimonio culturale”, anche nei diversi musei diocesani.
Ma, a fianco dell’impegno dei giovani, mons. Santoro chiede al governo “che il Sud diventi una priorità”, con “investimenti specifici che favoriscano il lavoro, l’iniziativa personale, il lancio di imprese”. Senza dimenticare l’impegno per “educare a una coscienza di legalità, sviluppando una mentalità che non ammetta qualunque forma di patteggiamento con le mafie”.
“Lavoro, Sud e giovani sono le parole chiave dell’esecutivo”, ha assicurato il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, lo scorso 29 dicembre, ma il rapporto Italia dell’Eurispes, presentato il 26 gennaio 2017, ha messo in evidenza che “il Mezzogiorno subisce la più pesante emorragia di forza lavoro con scolarizzazione: oltre il 13% dei laureati al Sud si sposta nelle regioni settentrionali e quasi il 10% verso il Centro”.
Intanto in Italia il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è risalito a dicembre 2016: secondo i dati diffusi il 31 gennaio dall’Istat, la quota di disoccupati sul totale degli attivi in quella fascia di età (occupati e disoccupati) a dicembre è al 40,1%, in aumento di 0,2 punti percentuali sul mese precedente, al livello più alto da giugno 2015. Se questa è la situazione in tutta Italia, c’è ancora più precarietà nel Meridione. Nel rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno 2016 il Sud si colloca in fondo a ogni classifica, facendo registrare una condizione giovanile nel mercato del lavoro (e nella formazione) peggiore della Spagna e persino della Grecia. Rimanere al Sud o tornarvi, quindi, resta una sfida ardua, ma non è utopia. E il riscatto può partire proprio dalla base.
(da agensir.it)