Nel libro “I narcos mi vogliono morto” la storia di padre Alejandro Solalinde, candidato al premio Nobel per la pace





Un milione di dollari. I narcotrafficanti sono disposti a pagare questa cifra pur di vedere ucciso padre Alejandro Solalinde, il più importante difensore dei migranti in Messico, responsabile di un centro di accoglienza a Ixtepec, nel sud del Paese, per il quale ogni anno transitano 20mila migranti. Solalinde è un sacerdote cattolico che è sostenuto da due meravigliosi amici, Gesù e lo Spirito Santo. Dal 2011 vive sotto scorta per il suo impegno contro i narcos e per aver denunciato la corruzione delle autorità pubbliche, stupri e commercio illegale di organi di bambini. La sua storia ha appassionato migliaia di persone al punto che Amnesty International ha lanciato qualche anno fa una campagna internazionale per sostenere l’impegno sociale di Solalinde che ha suscitato anche l’interesse dei media. Il New York Times ha lodato il suo “coraggio per aver denunciato crimini orrendi contro i migranti e la complicità delle autorità messicane”. Il Los Angeles Times l’ha definito “uno dei più importanti avvocati per i migranti”, mentre per Usa Today è “un combattente prete cattolico che ha sfidato i cartelli della droga e la polizia corrotta per proteggere i migranti”. Per questo motivo un giorno si è fatto anche arrestare e mettere in carcere in segno di solidarietà con gli immigrati irregolari.

Padre José Alejandro Solalinde Guerra, 72 anni, candidato al Nobel per la pace 2017, racconta la sua storia nel libro “I narcos mi vogliono morto. Messico, un prete contro i trafficanti di uomini”, realizzato con la giornalista di Avvenire Lucia Capuzzi e prefazione di don Luigi Ciotti. Per denunciare la drammatica situazione messicana è in Italia per una serie di appuntamenti per conto della Editrice missionaria italiana.

Sono mezzo milione gli indocumentados che ogni anno transitano in Messico dal Centroamerica verso gli Stati Uniti. Il 25% di loro sono donne, il 10% minori. Da quando entrano in Messico i migranti – che fuggono soprattutto dalle violenze urbane e civili dell’Honduras, Guatemala, Salvador – possono impiegarci almeno un mese per raggiungere la frontiera statunitense, il sogno di ogni migrante alla ricerca di una vita migliore: in questo lungo viaggio sono vittime di rapimenti, violenze, torture, schiavismo a fine sessuale da parte dei narcotrafficanti, che incrementano i loro traffici: questo “commercio” di esseri umani vale 50 milioni di dollari all’anno. Ogni giorno più di 50 indocumentados vengono rapiti, 20 mila all’anno. I dati ufficiali della polizia messicana parlano di 71.415 migranti “salvati” dai sequestri tra il 2007 e il 2014. Fino al 2005 di tutto questo padre Solalinde non si occupa, come racconta nel libro: è un «prete borghese», come lui stesso si definisce, fa il parroco, il professore, l’assistente dell’Azione cattolica, studia psicologia; da giovane addirittura apparteneva a un’associazione parafascista. Poi la “scoperta” degli indocumentados: li vede per la prima volta, inizia a prenderseli a cuore, apre un centro perché questi migranti possano riposarsi, mangiare, avere un posto dove stare per rifugiarsi da polizia e narcos. Viene minacciato di morte diverse volte dai narcos che gli impongono il silenzio sui rapimenti dei migranti a scopo di estorsione. Ma padre Solalinde non tace, anzi denuncia ai mass media i fatti di violenza, corruzione cui viene a conoscenza, rapimenti di migranti rinchiusi nelle “case de seguridad”, veri e propri campi di concentramento, dove si organizza il traffico di esseri umani. E dove si uccide pure, se non si ha la possibilità di pagare un riscatto in cambio della propria vita. Nel suo libro Solalinde racconta proprio questi soprusi e le lotte per la dignità di questi diseredati e le violenze da loro subite. «Assistere i migranti non era nei miei piani, ma Dio ha voluto così come segno dei tempi  in un momento di crisi per la Chiesa. I migranti non sono esseri umani per il crimine organizzato, l’essere umano è la cosa più sacra e Gesù ci ha insegnato a mettere al centro la dignità dell’uomo. E’ inaccettabile che siano merce per essere venduti o mutilati del loro corpo». La taglia sulla testa non ferma intanto padre Solalinde. «So che la mia vita non è nelle mani del crimine, né dei politici corrotti, ma di Dio. Per questo ricevo molte dimostrazioni di affetto e solidarietà. L’amore è più forte della paura».

Eduardo Cagnazzi

 

Articolo correlato sull’incontro di padre Solalinde a Fuorigrotta – 23 ottobre 2017.

Fotogallery di Raffaele Esposito

 





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