Nel “suo” Trianon Viviani, Nino D’Angelo riporta per l’ultima volta in scena L’ultimo scugnizzo di Raffaele Viviani con la regia di Bruno Garofalo.
È, questo, il titolo del commediografo stabiese, nume tutelare del teatro, che il popolare artista ha scelto per le prossime festività. La “prima” proprio nel giorno di Natale, alle 21.
A distanza di dieci anni dall’ultima volta, D’Angelo riveste quindi i panni di ‘Ntonio Esposito, lo scugnizzo, «cresciuto alla scuola della strada, dove si passa senza esami», che, nell’imminenza di diventare padre, sente la responsabilità di trovare un’occupazione qualsiasi per sposare la ragazza incinta e dare uno stato civile al bambino atteso.
Per questo spettacolo il teatro ha fissato un prezzo dei biglietti molto popolare per le rappresentazioni di dicembre. Inoltre, per far fronte ai maggiori problemi di mobilità del centro antico, tipici del periodo natalizio, mette a disposizione un servizio di navetta gratuito da e per il garage Quick parking san Francesco, nella piazza san Francesco di Paola dove aveva sede la Pretura, a ridosso di porta Capuana.
Lo spettacolo è prodotto da Immaginando e Pragma, in collaborazione con la fondazione Campania dei festival, con il finanziamento della Regione Campania.
«È particolarmente emozionante interpretare il personaggio dello scugnizzo Esposito nel teatro del popolo di Forcella, che si trova proprio a due passi dalla ruota degli esposti dell’Annunziata – spiega l’ex caschetto d’oro – ma, per motivi anagrafici, visto che quest’anno ho festeggiato i miei sessant’anni, ho deciso che sarà l’ultima volta che lo porto in scena».
Questa commedia in tre atti debuttò il 16 dicembre 1932 al teatro Piccinni di Bari. L’autore interpretava il ruolo di ‘Ntonio, mentre la sorella Luisella quello di ‘Nnarella, la futura suocera dello scugnizzo. L’anno seguente lo spettacolo fu rappresentato prima al teatro Fiorentini di Napoli e poi a Milano. Del 1938 la riduzione cinematografica con la sceneggiatura di Gherardo Gherardi, la regia di Gennaro Righelli, sempre con Viviani nel ruolo del protagonista. Nel 1957 L’ultimo scugnizzo fu riproposto a teatro da Nino Taranto, con la regia di Vittorio Viviani. Da allora è stato più volte rappresentato nei teatri italiani.
Due i temi, peraltro tipicamente vivianei, che caratterizzano questa commedia: la miseria e l’emarginazione. «‘Ntonio vuole cambiare vita, desidera abbandonare il suo passato precario, è deciso a superarlo, ma non a rifiutarlo; tenta di procacciarsi un lavoro onesto per vivere dignitosamente e per offrire al figlio, che sta per nascere, una famiglia e un’esistenza felice – spiega la storica del teatro Nunzia Acanfora –. Ma l’annuncio della morte del nascituro recide il filo della speranza e della rinascita di ‘Ntonio, che, nonostante si sforzi di inserirsi nel mondo del lavoro, comprende di essere diverso dagli altri e ricade nel suo ruolo di emarginato senza alcuna speranza di cambiamento: ecco che i concetti di scugnizzo, di emarginato e di povero si identificano».
In effetti questi temi e quello dell’infanzia difficile trovano proprio nell’area su cui insiste il Trianon Viviani un luogo rilevante della storia sociale della città: non solo per la real casa dell’Annunziata, con la famosa ruota, per l’accoglienza e l’assistenza dei neonati abbandonati, ma anche per due monasteri, non più esistenti, dedicati alle donne “traviate”: santa Maria Egiziaca all’Olmo, poi trasformato nell’ospedale cardinale Alessio Ascalesi, e Maddalena, che ha dato il nome al quartiere.
Un celebre momento teatrale che ha assunto anche una propria dimensione autonoma rispetto alla rappresentazione della commedia è la Rumba degli scugnizzi nel secondo atto, unica musica prevista nella pièce. Per il musicologo Pasquale Scialò è «tra i brani più significativi e noti ideati da Viviani» e «rappresenta una sorta di manifesto sonoro della concezione compositiva dell’autore, sempre attento a cogliere diverse pratiche musicali, contemplando tanto quelle tratte dalla autentica tradizione popolare, le “voci” dei venditori ambulanti, quanto quelle legate alla “musica d’uso” e di importazione, come la rumba».
Con Nino D’Angelo, in scena Antoine, Salvatore Benitozzi, Tonia Carbone, Vittorio Ciorcalo, Marcello Cozzolino, Antonio De Francesco, Tiziana De Giacomo, Sonia De Rosa, Raffaele Esposito, Laura Lazzari, Marianna Liguori, Matteo Mauriello, Gennaro Monti, Gina Perna, Mena Steffen e Maria Rosaria Virgili.
I costumi sono firmati da Mariagrazia Nicotra e i movimenti coreografici da Enzo Castaldo, con la consulenza musicale di Ciro Cascino e le foto di scena di Fabio Donato.
L’ultimo scugnizzo andrà in scena tutti i giorni da lunedì 25 dicembre a lunedì 8 gennaio, con riposo domenica 31 dicembre e mercoledì 3 gennaio. Le rappresentazioni sono sempre alle 21, tranne la pomeridiana del 7 gennaio prevista alle 18.
Continua, intanto, la possibilità di sottoscrivere un abbonamento a sette spettacoli a scelta tra i dodici titoli prossimi in cartellone. Gli abbonamenti possono essere acquistati presso il botteghino del teatro (aperto tutti i giorni: dal lunedì al sabato dalle 10 alle 13:30 e dalle 15:30 alle 19; la domenica dalle 10 alle 14), o nelle prevendite convenzionate riportate nel sito istituzionale www.teatrotrianon.org. I prezzi partono da 100 euro.
L’ultimo scugnizzo
estratti da Raffaele Viviani. Teatro – volume V, a cura di Antonia Lezza e Pasquale Scialò, Guida editori
per gentile concessione degli autori e dell’editore
L’ultimo scugnizzo è una commedia in tre atti di cui esistono tre copioni, due dell’archivio Viviani e un altro della biblioteca teatrale del Burcardo. […]
La commedia debuttò il 16 dicembre 1932 al teatro Piccinni di Bari. Fu un successo: «Il lavoro è stato applauditissimo anche a scena aperta: quattro chiamate si sono avute alla fine del primo atto, tre dopo il secondo, due dopo il terzo, che ha un finale commovente. Col Viviani hanno diviso il successo della serata, la Di Furia (Maria Cacace), Luisella Viviani (‘Nnarella), il Fortezza, la Raspantini» («la Gazzetta del Mezzogiorno», 17 dicembre 1932). Il lavoro fu rappresentato l’anno seguente a Napoli, al teatro Fiorentini («il Mattino», 5 gennaio 1933); poi, dato il successo strepitoso, fu ripreso nell’aprile dello stesso anno al teatro Fiorentini («il Mattino», 17 aprile 1933). Nel ’33 la commedia fu rappresentata anche a Milano. Nel ’38 il lavoro fu ripreso al teatro Piccinni di Bari nell’àmbito di una rassegna teatrale in cui comparivano altri testi di Viviani; il giudizio, anche in questa occasione, fu altamente positivo, nei confronti dell’autore («Viviani autore è, sempre, una rivelazione») e dell’attore («questo artista che sa essere così vario, così duttile, così mutevole e sempre, tuttavia, presente a se stesso»), apprezzatissimi anche gli altri bravissimi attori della compagnia. («Ricordiamo anche Luisella, che era Annarella sempre ammirevole per sincerità e vivacità, la Bruno, il Consalvi, la Raspantini, la Pretolani, il Flocco») («la Gazzetta del Mezzogiorno», 3 dicembre 1938).
Nello stesso anno vi fu una riduzione cinematografica della commedia, con la sceneggiatura di Gherardo Gherardi, la regia di Gennaro Righelli. Il personaggio di ‘Ntonio fu interpretato da Viviani.
La commedia nel ’57 fu riproposta da Nino Taranto, con la regia di Vittorio Viviani, e rappresentata nei maggiori teatri italiani, con un successo, forse, superiore alle aspettative. […]
Linguisticamente la commedia sembra divisa in tre parti, che corrispondono ai tre atti: nel primo il dialetto è quello popolare, del vicolo, della strada, la scena è un interno, lo studio dell’avvocato Razzulli, ma ‘Ntonio viene dalla strada e ne porta con sé il linguaggio. Abbondano qui i diminutivi (palazziello, mesatella, macchiulella, abbetiello, fazzulettiello) e i sostantivi (cappulicchio, vascio, malepatenze), così frequenti nei testi di Viviani.
Nel secondo atto, poi, il livello espressivo si fa più intenso, peculiare, ricco. Appaiono così una molteplicità di sostantivi, aggettivi, modi di dire, che rendono questo secondo atto uno degli esempî più significativi dell’originalità della lingua di Viviani, che tocca la maggiore intensità nella Rumba, in quel suo icastico e surreale ritmo giullaresco, che riesce a creare suggestioni davvero singolari.
L’assonanza dei termini pizze, carizze, verrizze, frizze, delle voci verbali te nce avvizze, t’appizze, nun scapizze, insieme alle «voci dei venditori» (‘O chiuovo j’ tengo, Belle ‘e ‘ammere, Scarola riccia p’‘a ‘nzalata, Fenucchie, ‘O spassatiempo, Capillo’…), gli stereotipi (‘O mare e ‘a rena) sono la summa del linguaggio teatrale di Viviani che, come appare evidente, supera i limiti del significato di un termine o di una espressione, e crea un universo espressivo più ampio, reale e surreale, popolare e colto, prosastico e poetico, comico e drammatico, che è, poi, la forza e la ricchezza del suo teatro.
Nel terzo atto in un primo momento ‘Ntonio, con tono enfatico, fa la lezione a tutti; poi, la luce si spegne, ed egli si accascia avvilito e prostrato, invocando (ma evocando!) i suoi compagni, «‘e sghizze ‘e fango», gli scugnizzi, Edua’, Genna’, Vecie’.
Antonia Lezza