In Messico si contano oltre 23.000 omicidi all’anno e va avanti l’orrore delle fosse comuni clandestine. Ogni giorno ne scoprono una nuova. Impossibile indicarne il numero. Dal 2006 ad oggi si ipotizzano oltre 32.000 scomparsi (il doppio dei desaparecidos durante le dittature argentine e cilene degli anni ’70), in prevalenza migranti che vengono rapiti, chiusi nelle “case de seguridad” (veri e propri campi di concentramento, dove si organizza il traffico di essere umani o di organi), torturati, violentati, uccisi se non pagano un riscatto in cambio della loro stessa vita o non vogliono lavorare come sicari per il crimine organizzato.
Padre Alejandro Solalinde, 72 anni, prete messicano, ha fondato dieci anni fa (a Ixpetec, nello Stato di Oaxaca) il centro per migranti “Hermanos en el camino” (“Fratelli sulla strada”), che accoglie ufficialmente più di 10.000 migranti (secondo altre fonti sono oltre 70.000). Candidato al Premio Nobel per la pace 2017, sulla sua testa pende una taglia di un milione di dollari. Vive da cinque anni sotto scorta, i narcotrafficanti lo vogliono morto perché non ha paura di denunciare la tragedia dei 500.000 migranti senza documenti del Centro e Sud America che si trovano a passare per il Messico nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti, né le connivenze con le forze dell’ordine e la politica, con altissimi livelli di corruzione (spesso è l’esercito o la polizia a sequestrare e consegnare alla criminalità manodopera da schiavizzare).
Per presentare questa drammatica situazione, padre Solalinde sta girando l’Italia con la Editrice missionaria italiana. A fine ottobre è stato realizzato un incontro nella parrocchia Buon Pastore a Fuorigrotta, organizzato dall’Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Pozzuoli, guidato da don Paolo Auricchio. Tantissimi i giovani presenti in una chiesa affollata.
«Se la mafia e il governo corrotto me lo permettono – ha dichiarato più volte il sacerdote – andrò avanti. Vivo tranquillo nella mia fede perché sono un missionario itinerante del Regno di Dio. Voglio continuare a difendere i migranti nonostante le minacce e nonostante i pericoli. Finora Dio mi è stato accanto e mi ha salvato. Abbiamo politici corrotti, narcos e giovani che vogliono diventare narcotrafficanti per essere importanti, avere donne, soldi e armi. “Non importa se la vita durerà 2 o 3 anni però voglio viverla bene”, dicono. È quindi necessaria una vera educazione alla fede e ai valori». Padre Solalinde invita a cambiare la visione negativa nei confronti dei migranti, verso i quali il Pontefice ha sempre avuto particolare attenzione: «Non ho mai conosciuto un Papa che abbia amato così tanto i migranti. Li difende non solo perché sono i più esclusi ma perché sono un segno dei tempi».
Toccante anche il ricordo di monsignor Oscar Romeo: «Ho vissuto con lui per mesi – racconta padre Solalinde – e alla gente parlava con la loro lingua. Ho visto in lui un uomo minacciato di morte, ma con una consapevolezza perfetta di quello che stava facendo, perché doveva rimanere lì a salvare vite. Nelle sue visite pastorali, di fatto andava dalle persone minacciate. Non voleva essere un martire, credeva fortemente nella missione, aveva tanta voglia di continuare a camminare. Ci ha lasciato un grande esempio, lo ricordo con molto affetto e rispetto».
Nell’incontro con padre Solalinde è intervenuto il direttore dell’Istituto penale minorile di Nisida, Gianluca Guida, il quale ha subito messo in guardia dal considerare la situazione del Messico come lontana da noi, sia per lo stretto contatto presente in Italia con i cartelli criminali messicani, che per la problematica della corruzione: «Tutte le nazioni e regioni – ha sottolineato Guida – tendono sempre più a definire confini. Cosa che avviene anche nei quartieri, quasi che l’appartenenza territoriale ci possa difendere e tutelare, rispetto ad altri quartieri più disagiati, come Soccavo con il Rione Traiano, oppure Scampia, i Quartieri Spagnoli o altre zone. Tuttavia quei limiti dimostrano le nostre precarietà. I ragazzi devianti ogni giorno ci mostrano che quei confini sono facilmente valicabili e che i politici o le forze dell’ordine scendono spesso a compromesso. Stasera ho assistito alla testimonianza di una persona che non solo va verso le periferie (come invita a fare Papa Francesco) ma sta vivendo concretamente nelle periferie. Un appello che deve scuotere anche le nostre coscienze e spingere le parrocchie ad uscire dai confini delle chiese».
Le conclusioni della serata, moderata dal giornalista Ciro Biondi e con traduzione di Gennaro Buono, sono state affidate al vescovo di Pozzuoli, monsignor Gennaro Pascarella: «Questo incontro costituisce una forte provocazione, invita tutti a reagire di fronte alla difficoltà, non possiamo non avere una reazione. Soprattutto come cristiani dobbiamo credere nella forza della preghiera. Riprendendo le parole di padre Solilande espresse nel libro, “non è troppo tardi; possiamo e dobbiamo avere il coraggio di rischiare un po’ del nostro benessere – e perché no, anche la nostra vita – per restare umani; o ci salviamo tutti o tutti verremo travolti; è una scommessa forte, ma ne sono sempre più convinto, ne vale la pena”».
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Photogallery di Raffaele Esposito