«Un predicatore, al termine di un’interminabile omelia, si rivolge ai fedeli: “Fratelli miei, che altro potrei dirvi?” Una voce dal fondo della chiesa risponde prontamente: “Dica: Amen!”». «In confessione: “Padre, mi accuso di guardarmi allo specchio molte volte al giorno e di trovarmi bella” … “Non angustiarti, figliola – risponde il confessore – non è un peccato, è un errore!”». «Al cimitero una vedova fa scrivere sulla tomba del marito defunto: “Riposa in pace, finché verrò a raggiungerti!”» (citazioni da un articolo del cardinale Ravasi).
«Shloimele e David sono due pii studenti ebrei, accaniti fumatori, e non sanno come comportarsi. Shloimele allora chiede al rabbino: “Quando studio la Torah, posso fumare?” Il rabbino lo caccia via dicendo: “Razza di vizioso, che ti viene in mente? Quando si studia la Torah, si studia e basta!” Shloimele ritorna da David tutto triste, ma David dice: “Tu non sai fare le domande” … Va dal rabbino, e gli chiede: “Rabbino, posso chiederti una cosa? Quando si fuma, si può studiare la Torah?” Il rabbino tutto contento risponde: “Certo, è sempre un buon momento per studiare la Torah!”» (storiella ebraica). «Due eremiti vedono passare un cervo, e uno dice: “Oh, un cervo!” Dopo 10 anni, ne vedono un altro, e lo stesso eremita dice: “Oh, un altro cervo!” Dopo altri 10 anni, ne vedono ancora uno, e lo stesso eremita ripete: “Toh, un terzo cervo!” Al che, il secondo eremita gli fa: “Senti, se sei venuto qua a parlare e perdere tempo, me lo potevi dire!”». Vi hanno strappato almeno un sorriso? Forse qualcuno pensa che ridere non sia cosa seria: il riso abbonda sulla bocca degli stolti! E invece…
In genere si dice: “Non scherzare, è una cosa seria!”, e invece si dovrebbe dire: “Scherziamo, è una cosa molto seria!”. Lo dimostra tutta la Tradizione della Chiesa: saper ridere è segno di maturità spirituale. Si pensi a san Lorenzo, che a chi gli prometteva salva la vita se avesse consegnato tutte le ricchezze della Chiesa, portò con sé i poveri, e disse: Ecco la ricchezza eterna della Chiesa! E che durante il suo martirio, condannato a morire bruciato su una graticola messa sul fuoco, disse al carnefice: Questa parte è cotta, voltami dall’altra parte! Ma non deve meravigliare che i santi amino scherzare. Scrive papa Francesco nella Gaudete et Exsultate (n. 126): «Ordinariamente la gioia cristiana è accompagnata dal senso dell’umorismo, così evidente, ad esempio, in san Tommaso Moro, in san Vincenzo de Paoli o in san Filippo Neri. Il malumore non è un segno di santità: “Caccia la malinconia dal tuo cuore” (Qo 11,10). È così tanto quello che riceviamo dal Signore …, che a volte la tristezza è legata all’ingratitudine, con lo stare talmente chiusi in sé stessi da diventare incapaci di riconoscere i doni di Dio». D’altronde, anche “Dio ha riso”, come ci ricorda il nome Isacco, che proprio questo significa. E nei Vangeli, spesso Gesù sa anche sorridere e prendere amabilmente in giro (come fa con Nicodemo, ad esempio): addirittura, a proposito del quarto vangelo, si parla di “ironia giovannea”. Il fatto è che l’umorismo è «un segno di libertà, di capacità di uscire dai propri schemi ed entrare in relazione con l’altro, mentre una serietà ostentata può diventare freddezza ostile e rigidità… Vivere la realtà con umorismo non è un modo di ignorare i problemi e le difficoltà, significa invece imparare a sdrammatizzarli, e questa è una condizione essenziale per affrontarli e superarli» (Cucci, Umorismo e vita spirituale).
Cogliamo l’occasione del tempo estivo, tempo di maggiore leggerezza, per poter pregare ogni giorno, come ci raccomanda papa Francesco, con la famosa preghiera di san Tommaso Moro: «Dammi, Signore, una buona digestione, e anche qualcosa da digerire. Dammi la salute del corpo, e il buonumore necessario per mantenerla. Dammi, Signore, un’anima santa che sappia far tesoro di ciò che è buono e puro, e non si spaventi davanti al peccato, ma piuttosto trovi il modo di rimettere le cose a posto. Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa tanto ingombrante che si chiama “io”. Dammi, Signore, il senso dell’umorismo. Fammi la grazia di capire gli scherzi, perché abbia nella vita un po’ di gioia e possa comunicarla agli altri. Amen». Dovremmo far tesoro di questo insegnamento: in un mondo che dimentica la compassione e l’umanità, dovremmo imparare di nuovo a ridere, e a ridere di noi stessi, senza prenderci troppo sul serio. Anche in questo, papa Francesco, con il suo modo di fare, ci indica una via da seguire, senza curarsi dei troppo seriosi che ne sono scandalizzati.