Parole in libertà. Chiamati a diventare uomini pasquali. L’esemplare storia di Giovanni evangelista





Ho sempre avuto difficoltà a comprendere l’evento della Pasqua. E come potrebbe essere altrimenti? Pur essendo per noi cristiani un evento realmente accaduto, un evento storico, non è raggiungibile con i nostri sensi e le indagini storico-critiche, va cioè al di là della storia stessa: è storico, si dice, ma anche metastorico. Parola difficile, per dire che della Pasqua – cioè della risurrezione di Gesù – non possiamo dire molto, se non addirittura niente del tutto. Come fare allora per dire cos’è la Pasqua, visto che la risurrezione è l’evento centrale della nostra fede?

Giustamente, infatti, già san Paolo faceva notare che «se Cristo non è risuscitato, la nostra predicazione è senza fondamento e la vostra fede è senza valore… se Cristo non è risuscitato, la vostra fede è un’illusione, e voi siete ancora nei vostri peccati» (1 Cor 15,14.17: la traduzione è quella interconfessionale in lingua corrente, più semplice).

Un modo in realtà c’è, ed è da sempre il modo principale: se non è possibile osservare l’evento in se stesso, si possono però osservare i suoi effetti, un po’ come nella fisica quantistica. E gli effetti si possono ritrovare essenzialmente nella vita delle persone che erano più vicine al Rabbi di Galilea, come gli Apostoli.

Nel tempo di Pasqua si legge, nei giorni feriali, il Vangelo di Giovanni. Ecco, guardare a lui, che san Paolo stesso definisce una delle “colonne della Chiesa” (Gal 2,9), può aiutarci sul serio a comprendere cos’è la Pasqua, e quale cammino siamo chiamati a fare anche noi per diventare uomini “pasquali”, testimoni della risurrezione di Cristo. Giovanni è in attesa del Messia, come tutto Israele, ma – complice forse la giovane età – è pieno di un grande entusiasmo e zelo, sente che qualcosa sta per accadere. Così, segue il suo omonimo, Giovanni il Battista, nel deserto. Ed è lì che, con il suo amico Andrea, sente questi indicare in Gesù il Messia. Ma cosa capisce Giovanni? Che quel giovane galileo è colui che imporrà la Legge di Mosè al mondo intero, se necessario con la violenza, così come fece il profeta Elia secoli prima. Per questo segue Gesù, per questo entra tra i suoi discepoli, per questo lascia tutto, compreso il padre e il suo lavoro.

Anche se a prima vista non sembra, Giovanni non ha un carattere facile: qualcuno lo ha definito fanatico, arrogante e ambizioso. Esagerato? Mica tanto… Fanatico, lo è: quando un villaggio di samaritani si rifiuta di accogliere Gesù perché è in cammino verso Gerusalemme, insieme al fratello Giacomo – con cui fa coppia fissa – propone a Gesù che «scenda un fuoco dal cielo e li consumi» (Lc 9,54). Il Maestro deve faticare per calmarli e li rimprovera aspramente. È anche arrogante («Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito», perché non è dei nostri: Lc 9,50) e ambizioso: quasi spacca la comunità nascente, perché insieme al fratello chiede a Gesù i posti più importanti nel suo Regno, provocando la reazione di tutti gli altri… Insomma, tanto perfettino, questo Giovanni non è!

Potrei continuare, ma a me interessa solo sottolineare un altro momento. Quando Maria di Magdala informa gli Apostoli del fatto che il corpo di Gesù non è nella tomba, Giovanni corre con Pietro al sepolcro: arriva per primo, rispettosamente attende l’apostolo più anziano ed entra dopo di lui nel loculo scavato nella roccia. Ecco il momento decisivo! Lui stesso lo racconta così: «Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,8). È il momento della trasformazione decisiva! La Pasqua lo fa diventare un’altra persona, non più insolente, presuntuoso e desideroso di potere, ma colui che saprà sintetizzare tutta la storia della salvezza, tutta la realtà di Dio, in solo tre parole: Dio è amore! (1 Gv 4,8.16). E che, con logica stringente, saprà dire anche a noi: «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20). Ecco, se vogliamo comprendere e vivere pienamente la Pasqua, basta pensare a queste poche affermazioni, e soprattutto da dove era partito la persona che le ha pronunciate.

 





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