A volte, la vita è proprio strana. Per anni ho insistito, anche dalle colonne di Segni dei Tempi, sul fatto che Natale non è la festa del buonismo (A Natale si può!… brrrr), dei regali, dell’albero e del presepe, e non è nemmeno la sagra sdolcinata che ci vogliono appioppare, o i film “cinepanettoni”. Ho detto infinite volte che se Natale lo si identifica con lo shopping al Centro, le vetrine ricche e colorate, il traffico e la folla per le strade, allora non si è compreso appieno la cruda verità che questa festa ci viene a narrare, quella di un Dio che per amore assume la carne fragile e debole dell’uomo: non si è compreso che dietro la culla del Bambinello proietta la sua ombra la Croce del venerdì santo. Ecco, ho detto in ogni modo e in ogni salsa queste cose, per anni. E ora, invece, mi trovo a desiderare le luci sfavillanti dei negozi, Bianco Natale e Jingle Bells, la confusione e la calca al Centro, le corse, l’affanno dei regali… Per dirla in breve, sogno – spero… – in un Natale senza lockdown e quarantene, senza mascherine, con un lontano ricordo delle scuole chiuse e della famigerata Didattica A Distanza, con i ragazzi che si possono riunire anche a mezzanotte, e con ristoranti bar e pizzerie aperti anche alle undici di sera.
E già, la vita è strana, perché in primo luogo arriva sempre con un carico di novità inaspettata (come quella che mi vede desiderare ciò che prima condannavo), e poi perché più è dura e aspra, più apre al desiderio e alla nostalgia delle cose belle che riscaldano la vita, che rendono insomma felici.
Scrivo queste righe proprio nelle ore in cui mi giunge la notizia della morte di un mio amico a causa del Covid, e questo evento mi ha provocato in maniera quasi viscerale. Così, mi sto chiedendo in continuazione: ma si può parlare del Natale in una simile situazione? Sì, vorrei che si tornasse a “prima”… vorrei davvero che la nostra unica preoccupazione fosse solo la scelta del regalo giusto… vorrei anche potermi immergere liberamente nel caos del traffico natalizio… sì, lo vorrei, e sono certo che lo vorremmo tutti. Ma così non è, sono solo desideri comprensibili, ma non reali. Ciò che invece è reale, è questa pandemia che ci ha colpiti di nuovo a tradimento, con la sua curva del contagio in salita vertiginosa, con i suoi morti, con i suoi costi economici e (soprattutto) sociali. E allora? Non vorrei, però, neanche che si pensasse al Natale come a qualcosa di triste, drammatico, e in fondo disperato, come certi Natali di cui mi parlava mio padre ricordando quelli degli anni di guerra. Si è capito, credo, che in realtà mi sto chiedendo (e quasi sto chiedendo a voi lettori, come se mi poteste rispondere) con quale spirito vivere questo tempo che ci sta dinanzi, e le festività natalizie ormai vicine. La risposta che credo sia la più giusta è, in fondo, in quello che ci siamo detti finora. La verità è che dal buio più profondo, dalla disperazione più paralizzante, dal dolore più intenso, l’uomo – ogni persona, di ogni tempo e luogo – volge “oltre” il suo sguardo, va al di là di ciò che lo limita e lo ferisce, alla ricerca di un nuovo modo di essere e di vivere. Più è dura la realtà in cui si è inseriti, più si desidera il bello, la pace, qualcosa che renda piena e felice la vita stessa. Qualcuno dice che si tratta di una fuga dalla realtà, io dico che è immaginare una realtà nuova, diversa, “altra”. E questo fa sì che non ci accontentiamo di quello che c’è: vogliamo di più, e cerchiamo anche di arrivarci, a questo “di più”. Insomma: più quello che viviamo è brutto e negativo, più cerchiamo il bello e il positivo, e di costruire le condizioni perché si realizzi. Tutto questo ha, per me, un nome: speranza. L’uomo è un animale che spera sempre, contro ogni speranza. La speranza, come dice il proverbio, è l’ultima a morire. Ma non è questo, che ci viene a dire il Natale? Che speranza è viva, ed è quel Bambino nato una notte di duemila anni fa a Betlemme? Che la speranza ci è venuta incontro, che si è preso cura di noi, che non ci ha lasciati soli in preda al male, alla morte, alla sofferenza, perché il Dio della vita si è fatto fragile e indifeso come lo siamo noi in questo momento. Natale è la festa, insomma, della Speranza (iniziale maiuscola, mi raccomando!) fatta uomo, e ci spinge ancora una volta a non temere, a non lasciarci vincere dalla paura e dallo sconforto, ad avere il coraggio di guardare “oltre” questo tempo e questa situazione. E di portare a tutti questa Speranza, amando come siamo stati amati da sempre, e ancor più in situazioni come queste. E allora sì, lo posso dire ad alta voce: BUON NATALE A TUTTI VOI!