Un mio professore alla Gregoriana, il famoso teologo gesuita Jean Galot, con il suo inconfondibile accento francese diceva spesso che «la vita ci riconduce sempre all’essenziale». Sembrerebbe quasi un’affermazione ovvia, uno slogan persino un po’ banale, penso che sia invece una piccola verità da cui spesso fuggiamo per rifugiarci nei sogni o in una nostalgia sterile di qualcosa che non c’è più. Insomma, spesso tendiamo a fuggire dalla realtà, per nasconderci in una sorta di limbo immaginario che ha poco a che fare con la vita, spesso dura: preferiamo non vedere, per evitare di soffrire. Così facendo, però, non viviamo la vita, ma appunto ne inventiamo una falsa, bugiarda, virtuale, che magari suona rassicurante, ma che è invece pura illusione. Ben vengano allora quelle occasioni in cui la vita ci prende a schiaffi e ci risveglia dal nostro sonno, distrugge con un soffio le nostre illusioni, ci riporta con i piedi sulla dura terra: ci riconduce all’essenziale, insomma, come diceva Galot. Fa senza dubbio male, ma è salutare, consentendoci di ritornare in noi stessi, di prendere coscienza di ciò che siamo, e anche di poter crescere, una volta individuate quelle fragilità che ostacolano il nostro cammino.
Pensavo a questo rileggendo un intervento di Papa Francesco, a cui facevo riferimento già nell’ultimo numero di Segni dei tempi. In un discorso di auguri di Natale (siamo nel 2019), il Papa a un certo punto del suo discorso ha affermato: «Le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale. Nelle grandi città abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti! Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati… Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata».
Uno schiaffo in piena regola, come per risvegliare la Chiesa tutta – dalle istituzioni vaticane all’ultima parrocchia di periferia, dai Cardinali all’ultimo fedele – da un’illusione: la cristianità non esiste più, siamo in una nuova epoca, e non possiamo chiudere gli occhi davanti a questa realtà! Siamo in un contesto di società e di cultura prevalentemente post-cristiana, io preferisco dire neopagana, in cui la fede cristiana non è più il principale punto di riferimento e in cui la presenza di chi crede non incide più di tanto. Basti pensare a quello che sta accadendo in questi mesi: dinanzi alla pandemia si pende, sì, dalle labbra di chi possiede la conoscenza della verità e i mezzi per la salvezza, ma costoro sono i virologi, i biologi, gli infettivologi, gli scienziati, insomma.
Se qualcuno vive ancora nell’illusione di una Chiesa punto di riferimento per il mondo occidentale, e per l’Italia in particolare, è tempo che si lasci ricondurre dalla dura vita all’essenziale. Per me, questo significa che come credenti dobbiamo porci dinanzi al mondo di oggi con lo stesso atteggiamento con cui si pose dinanzi al mondo antico la prima comunità cristiana: in dialogo, in ascolto, con simpatia, ma senza venire meno alla nostra identità di testimoni dell’Amore che salva, guarisce e libera, e di difensori intransigenti non di posizioni di potere o di privilegi ma della dignità di ogni uomo, soprattutto del più debole. Siamo chiamati oggi a ritradurre nel linguaggio della fede tutto il buono del mondo moderno, un’opera di traduzione che impegnerà i prossimi decenni, se non secoli. Dobbiamo trarre cioè tutte le conseguenze da quel ritorno all’essenziale che questa pandemia ci sta donando come preziosa opportunità, senza spaventarci dinanzi alla complessità del compito: i primi discepoli non si spaventarono, ma confidarono in Colui che aveva detto: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).