Parole in libertà. La Pastorale e la Pandemia





Quando ho iniziato il mio cammino di formazione, una parola mi incuriosiva: pastorale. Non riuscivo a comprenderla, non capivo nemmeno quale fosse il suo genere grammaticale. Avevo, sì, conosciuto “il” pastorale, cioè un gruppo di persone scelto per guidare una piccola comunità di preghiera. Avevo poi conosciuto, da ragazzo, il termine in musica (la 6ª Sinfonia di Beethoven è chiamata “Sinfonia Pastorale”) e in letteratura (in un racconto breve e struggente di Gide, per non parlare di “Pastorale americana” di Roth). Ma non capivo cosa c’entrasse tutto questo con “la” pastorale. Naturalmente, cammin facendo le idee si sono chiarite, e ho compreso che la pastorale è più propriamente “l’azione pastorale”, la cura cioè che il pastore (la guida della comunità cristiana) esercita nei confronti delle persone affidategli. In realtà, nel corso dei secoli la pastorale è profondamente mutata, in relazione a come si comprendeva la Chiesa. Così, ad esempio, ancora all’inizio del secolo scorso san Pio X diceva in una enciclica che fosse diritto del pastore guidare e comandare il gregge, e dovere di questo obbedire docilmente: oggi, alla luce di una più corretta visione della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, questo non è chiaramente accettabile.

Ed è stato così che la pastorale è diventata per me una passione, anche alla luce delle mie esperienze precedenti: come prendermi cura, oggi, delle persone che mi sono affidate, da pastore che le accompagna alla scoperta dell’amore di Dio?

Pensavo a ciò in questi giorni in cui, come Chiesa di Pozzuoli, siamo chiamati a rispondere ad una domanda fondamentale: «Quali sono le coordinate fondamentali di una pastorale rinnovata in tempo di pandemia?». Come ricordava Oscar Wilde («A dar risposte sono capaci tutti, ma a porre le vere domande ci vuole un genio»), le domande sono più importanti delle risposte. Non possiamo, infatti, non lasciarci provocare dalla realtà. La pandemia è essenzialmente una crisi sanitaria, ma ha accentuato altre crisi: economica, sociale, culturale, e anche spirituale, di fede. Si può impostare oggi un’azione pastorale non partendo da questa realtà? Domanda impegnativa, su cui siamo chiamati tutti a riflettere e a cercare risposte, che obiettivamente non sono facili da trovare. Ma proprio per questo è urgente comprendere che è tempo di uscire da una sorta di “intangibilità dell’organizzazione pastorale”: la parrocchia deve operare una conversione pastorale, essendo stata impostata nei secoli scorsi per servire una “società cristiana” che ora non esiste più. Oggi è richiesta una svolta proprio nel modo di impostare la vita della comunità parrocchiale, passando dalla domanda «Quanti siamo?» alla domanda «Come siamo?», e avendo  lo stesso “coraggio creativo” che ebbe nel Vangelo san Giuseppe. In questo quadro, alcune dimensioni risaltano. In primo luogo, bisogna mettersi in ascolto dello Spirito, ma anche dei bisogni delle persone: la vicinanza, la prossimità, il farsi carico delle sofferenze delle persone sono le vie concrete lungo le quali siamo chiamati a incamminarci. Questo significa anche avere cura della fragilità e della debolezza di ognuno, aggravate da questa pandemia che colpisce di più i più indifesi. Ma questo, occorre farlo non da soli, bensì come fece il Samaritano che chiese aiuto al proprietario della locanda dove aveva portato l’uomo ferito. Occorre cioè saper lavorare “in rete” (pastorale integrata), incontrandosi in un “noi” più forte della somma di piccole individualità, come dice Papa Francesco nella Fratelli tutti. Infine, tutta la pastorale rinnovata deve saper dare speranza, non tanto parlando “di” speranza, quanto parlando “con” speranza e misericordia a ogni singola persona. Questo, infine, implica una seria conversione delle strutture, ma anche personale: bisogna rivedere le nostre relazioni, per verificare se esse sono davvero sotto il segno della gratuità e del dono di sé; lasciarsi plasmare il cuore dalla “cultura dell’incontro e della cura”; non chiudersi dentro le proprie comode abitudini e certezze come in una cittadella fortificata. La domanda seria allora è: siamo pronti oggi, alla luce della pandemia, a cambiare le nostre idee, i nostri modi di vedere, i nostri atteggiamenti, il nostro stesso stile di vita?





Exit mobile version