Quando ho iniziato a scrivere il mio articolo per il numero scorso di sdt, erano gli ultimi giorni di febbraio, l’epidemia di coronavirus era appena agli inizi. Qualcuno avrebbe immaginato tutto questo? Sembrava già tanto che durante la Messa, ad esempio, non ci si scambiasse il segno della pace: chi poteva immaginare le chiese chiuse, le messe on line, la Settimana Santa blindata? Oppure la quarantena, con la chiusura di quasi tutte le attività e delle scuole, e l’applicazione (per la prima volta in Italia) della “didattica a distanza”? E soprattutto, chi – se non nei peggiori incubi “fantascientifici” – avrebbe potuto prevedere le migliaia e migliaia di morti? E che in un niente sarebbe stato coinvolto tutto il resto del mondo, dalla Spagna all’Egitto, dagli Stati Uniti all’Australia, dall’Ecuador al Giappone?
Non ho timore di dire (anche perché è ormai convinzione diffusa) che in questi mesi il mondo è cambiato, e nulla sarà mai più come prima, a tutti i livelli, dalle minime abitudini quotidiane alla situazione economica mondiale…
La rapidità dei cambiamenti che abbiamo dovuto affrontare ci ha frastornati. A un certo punto, eravamo come un pugile messo all’angolo e tempestato da una gragnuola di colpi, senza possibilità di vedere da dove venissero e soprattutto di evitarli.
Questo all’inizio, senza dubbio, ci ha disorientato, rendendoci incapaci di comprendere subito la dimensione epocale dell’evento, e di interpretarlo correttamente (chi ha dimenticato le tante voci che dicevano: in fondo, è solo una banale influenza?). Ma piano piano, abbiamo acquistato una sempre maggiore consapevolezza di ciò che questa pandemia significa. Nel momento straordinario di preghiera del 27 marzo, la voce profetica di Papa Francesco si è levata – da una piazza San Pietro mai così deserta e mai così piena di presenze – a indicare al mondo la vera causa della pandemia: «Signore… in questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato». A pensarci bene, questa diagnosi contiene in sé anche la cura. Basta sapersi fermare in tempo dinanzi al baratro, per riscoprire ciò che ci rende autenticamente “uomini”, o ancora meglio “persone”: la tenerezza, la compassione, la generosità, la solidarietà e la condivisione, la capacità di donarsi.
«Cari amici – ha detto sempre il Papa la Domenica delle Palme – guardate ai veri eroi, che in questi giorni vengono alla luce: non sono quelli che hanno fama, soldi e successo, ma quelli che danno sé stessi per servire gli altri. Sentitevi chiamati a mettere in gioco la vita. Non abbiate paura di spenderla per Dio e per gli altri, ci guadagnerete! Perché la vita è un dono che si riceve donandosi». La cura, la vera cura per guarire dalla pandemia, e per evitarne altre, è allora semplice: «Il dramma che stiamo attraversando in questo tempo ci spinge a prendere sul serio quel che è serio, a non perderci in cose di poco conto; a riscoprire che la vita non serve se non si serve».
Se alla fine avessimo capito un po’ di più questa semplice verità, davvero tutto questo non sarà stato vano. Ecco, a me sembra che approfittando di quest’occasione donataci in modo provvidenziale prima di giungere al punto di non ritorno, siamo chiamati alla più vera e autentica delle rivoluzioni: quella delle coscienze, per creare un mondo più umano, solidale, attento al grido degli ultimi della terra, rispettoso dell’ambiente (la sorpresa inaspettata dell’aria pura nelle città o del mare trasparente di Napoli dopo solo tre settimane di quarantena ci ha fatto capire che se sappiamo darci una regolata è ancora possibile invertire il processo di distruzione dell’ecosistema).
Non è facile, ma sono oggi più che mai fiducioso: coraggio, possiamo davvero reinventare il mondo!
Pino Natale