Quando lo schiavo Onesimo bussò alla porta dell’apostolo Paolo, non sapeva che «il tempo è superiore allo spazio». Questo principio, in questi termini, lo avrebbe enunciato solo 2000 anni dopo Papa Francesco. Non conosceva questo principio, ma lo stava realizzando. In effetti, ascoltata la sua storia (Onesimo era scappato dal suo padrone, dalla schiavitù), Paolo non gli offrì rifugio, non lo nascose, ma fece qualcosa di diverso: lo rimandò al suo padrone, come richiedeva la legge, ma scrisse un biglietto di accompagnamento, la nostra “Lettera a Filemone”. In essa, Paolo, appellandosi alla sua conversione alla fede in Cristo, chiedeva a questi di accogliere e trattare come un fratello in Cristo il suo schiavo, cosa che Filemone fece (troviamo il nome di Onesimo nella Lettera ai Colossesi, come apostolo e discepolo di Paolo). Paolo non tratta in ma
niera specifica il tema della schiavitù, ma con quel biglietto inizia un processo che porterà a riconoscere la dignità di ogni persona, e la schiavitù come contraria alla legge cristiana della carità. Bussando a quella porta, Onesimo aveva dato inizio a tutto questo! Mi veniva in mente questo episodio, nei giorni del Convegno Ecclesiale della nostra Diocesi, che si è svolto a fine settembre. In realtà, mi ha aiutato a superare alcune perplessità espresse ad alta voce da tanti: «Ancora con questa storia del Sinodo, e della sinodalità? Se ne parla da anni, ma cos’è cambiato? Ma di cosa si parla, se vi sono parrocchie ancora senza Consiglio Pastorale? Ma quale sinodalità… qui, il vero problema è il clericalismo ancora presente nelle nostre parrocchie…», e così via.
Su tutto questo si può discutere, e sarebbe bene che si facesse, in modo franco e nella carità. Ma partecipare al Convegno, mi ha aiutato a capire meglio che alla base di queste perplessità critiche vi era un principio, un’idea ben precisa. Negli anni ’70 era così espressa: «Tutto e subito!». Per carità, questo principio ha anche la sua importanza, ed ha un aspetto positivo: manifesta infatti l’urgenza del rinnovamento radicale, del cambiamento senza compromessi. Ovvio che a 10 anni dal Sinodo, uno si guarda intorno, e dice: «E chest’è?». Il rinnovamento delineato dal Sinodo, espresso soprattutto nel Libro del Sinodo, non si è manifestato “tutto”, e soprattutto non c’è ancora in molti casi.
Dov’è la piena corresponsabilità dei laici nelle nostre parrocchie, ad esempio? Dove il volto nuovo della parrocchia missionaria, che mette al suo centro i poveri, facendoli persino partecipare agli incontri del Consiglio Pastorale? Dove una liturgia che veda davvero celebrare l’assemblea? O una catechesi che metta al suo centro gli adulti, e non i bambini della Prima Comunione (e come addentellato, poi, i genitori)? Dove una corretta partecipazione dei cattolici al mondo dei social media, senza demonizzazioni, ma anche senza cadere nell’inganno di credere a qualsiasi cosa essi propinino? «Doveva cambiare tutto, perché non cambiasse niente», mi ha detto un delegato al Convegno, disilluso, citando “Il Gattopardo”…
Ma è davvero così? Io dico di no, ora. E lo dico, grazie a Onesimo, che non lo sapeva, ma che bussando alla porta di Paolo ha aperto un processo di cambiamento profondo nella storia dell’uomo. Ecco, di questo si tratta: stiamo aprendo processi, che per maturare richiederanno decenni, e forse anche di più. Noi non vedremo “tutto”, senz’altro non vedremo “subito”, anzi… Ci vorrà tempo, e tanto! Ma dobbiamo pur iniziare, e se non iniziamo noi, allora sì che saremmo colpevoli. E cosa sono 10 anni, ma anche 50 (nel caso del Concilio Vaticano II), se si tratta di cambiare modi di pensare e impostazioni pastorali di secoli? A questo siamo chiamati, in questo momento storico e in questo luogo preciso: senza illusioni, dobbiamo iniziare nel piccolo il cambiamento che il Sinodo ha profetizzato, dobbiamo mettere in moto un processo di profondo rinnovamento evangelico.
Pino Natale