Abbiamo celebrato, lo scorso 26 novembre, i 10 anni dalla fine dell’ottavo Sinodo Diocesano, e in questo 2017 celebriamo i 10 anni dei documenti che ne scaturirono: il Libro del Sinodo e il Direttorio Pastorale. In queste settimane è in atto una verifica di quanto il Sinodo abbia inciso nella vita concreta della nostra Chiesa. Voglio contribuire a questa verifica facendo memoria dei “sogni” che lo accompagnarono: prima, durante, dopo. Mi sembra che possa essere utile domandarci quanto di questi sogni sia oggi vivo nella nostra pratica pastorale quotidiana, anche perché spesso la delusione nasce proprio dalla negazione, dal rinnegamento di simili aspirazioni. Il primo sogno era il testo di un mio fondo su questo giornale (era il 2002), in cui cercavo di esprimere quelli che erano i desiderata che emergevano in molti colloqui e incontri con i fedeli e i presbiteri delle nostre parrocchie: «Nel mio cuore ho un sogno. Sogno una Chiesa, in cui tutto il popolo di Dio si pone in modo entusiasta in stato di missione… Sogno una Chiesa in cui tutti … fanno una continua ed autentica esperienza di comunione, che nasce dal riconoscimento delle proprie mancanze e dei propri difetti, e dal perdono reciproco… Sogno una Chiesa in cui non esiste più la contrapposizione (o al massimo la collaborazione) tra clero e laici, bensì un’unica e medesima corresponsabilità, ognuno secondo i propri doni e il proprio ministero… Sogno una Chiesa libera, forte nella propria fede, capace di alzare la voce con i potenti e di farsi sussurro carezzevole e sanante con i feriti e i deboli di questo mondo… Sogno questa Chiesa. Resterà solo un sogno?».
Il secondo sogno è quello manifestato con ben altra efficacia da don Luigi Saccone, al termine del Convegno Ecclesiale del 2003, nel Palasport di Monterusciello, davanti a centinaia di persone che stavano per vivere l’esperienza concreta della preparazione e della celebrazione del Sinodo: «Sogno una Chiesa nella quale il primato della Parola venga non solo proclamato, ma sperimentato nell’organizzare l’esistenza dei singoli e delle comunità. Sogno una Chiesa nella quale ogni suo figlio venga accolto e riconosciuto per quello che è e non per quello che ha. Sogno una Chiesa che appaia immediatamente come famiglia dove l’essere padre e l’essere figli dipenda dalla relazione che, nello Spirito, si ha con il Padre e colui che Egli ha mandato, Gesù Cristo. Sogno una Chiesa nella quale i suoi pastori siano veri anziani nella fede e maestri autentici di umanità. Sogno una Chiesa nella quale venga riconosciuto il primato del mistero: la realtà più vera che Dio ha consegnato alla fragilità dell’uomo. Sogno una Chiesa nella quale i calcoli umani e le strategie opportunistiche cedano il passo alla fede in un Dio fedele che, nonostante gli uomini, realizzerà le promesse che ha fatto. Sogno una Chiesa nella quale la preghiera liturgica sia sempre immersione nel divino per assumere e contagiare le realtà terrene. Voglio sognare, so di poterlo fare, perché Gesù ha detto “i cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”».
L’ultimo sogno ce lo ha affidato una persona che solo apparentemente non ha a che fare con il nostro sinodo, ma che in realtà – con tutte le sue parole e le sue azioni – lo interpreta in modo sublime: Papa Francesco. Il suo sogno è raccontato nella Evangelii Gaudium, l’Esortazione in cui ha racchiuso tutta la sua esperienza di vita e di pastorale: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia». E prosegue: «La parrocchia… può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie… Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione». Questa è forse la sfida più grande perché questi sogni diventino davvero realtà, dando a tutti la possibilità di sperimentare la misericordia del Padre.
Pino Natale