PAROLE IN LIBERTA’: Lo stile sinodale per la Chiesa d’oggi





«Quod omnes tangit ab omnibus tractari debet», cioè: «Quello che riguarda tutti, dev’essere discusso da tutti». Già diverse volte ho richiamato questo principio che guidava la Chiesa nei primi mille anni della sua esistenza: potrei non ricordarlo oggi, dopo le due Assemblee Sinodali del 10 e del 17 maggio, dove laici, sacerdoti, religiosi e religiose hanno fatto una grande esperienza comunitaria di ascolto di ciò che lo Spirito dice oggi alla nostra Chiesa? No, non potrei: e infatti, lo faccio. Aggiungendo subito dopo che un simile momento è senz’altro da ripetere anche più volte nel corso di un anno, magari migliorandolo in modo da renderlo un reale, effettivo, esercizio concreto di sinodalità, dando ad esempio più tempo per il confronto e l’ascolto reciproco.
Ma al di là di ciò, davvero in questi due giorni si è avuta la netta percezione che il Signore in questo tempo – per certi versi così difficile e oscuro per la fede – stia donando alla sua Chiesa non solo una più chiara consapevolezza della sua identità e del suo compito, ma anche uno strumento concreto per rendere visibile nella storia di oggi questa nuova coscienza. E questo strumento è lo “stile sinodale”.

Parlare oggi di sinodalità, stile sinodale, mentalità sinodale, e così via, rischia di diventare una moda. Se ne scrive, e se ne parla, un po’ dovunque, ormai. E si sa, dopo un po’ le mode… passano di moda! Magari tra qualche tempo chi parlerà di sinodalità sarà considerato non al passo dei tempi, sorpassato da qualche altra novità sopraggiunta nel frattempo. Bisogna perciò fare attenzione a non usurare e a non rendere banali questi concetti, e la realtà che essi indicano. Che è quella di una Chiesa che sa ascoltare la voce dell’uomo di oggi, e la sa interpretare alla luce della Parola di Dio e dell’autentica Tradizione.

Questo compito non è solo di alcuni, ma è impegno di tutta la Chiesa, di tutti insieme. Ecco, forse dobbiamo prestare più attenzione a questo avverbio. Per me, insieme vuol dire in primo luogo che io non sono solo, ma faccio parte di un popolo, di una comunità, di un gruppo di persone che hanno legami che forse non sono quelli di sangue, ma che sono più forti di quelli di sangue.
I giovani spesso tra loro si chiamano Fra’, quasi riconoscendo l’altro come carne della propria carne, e questo perché c’è qualcosa che li accomuna, perché hanno fatto esperienza di qualcosa che li ha
uniti. Fra’, cioè: Fratello! Invece noi abbiamo paura di chiamarci così, e forse è anche giusto, perché sappiamo bene che in fondo suonerebbe falso, dal momento che spesso l’altro non è per me un  fratello, ma solo un perfetto sconosciuto. Quante volte non conosciamo nemmeno chi partecipa alla medesima celebrazione eucaristica a cui stiamo partecipando noi?

E come faccio a chiamare chi mi sta accanto nel banco di una chiesa “fratello”, se è per me uno che non conosco e con cui non ho condiviso nulla, nemmeno il fondamentale l’incontro con Cristo?

Ecco, scoprire che insieme siamo chiamati a incontrare il Signore e a fare l’esperienza di salvezza, vuol dire rendere concreta quella mistica del “noi”, a cui faceva cenno il vescovo a conclusione della prima delle due assemblee sinodali. Ma c’è di più, mi sembra. Crescere nell’esperienza di una Chiesa sinodale, dove ci si riscopre popolo, aiuterebbe non solo la Chiesa, ma anche la realtà esterna ad essa, quella che sinteticamente definiamo “mondo”. Oggi – in un contesto sociale, politico, economico, e soprattutto culturale, in cui predominano disgregazione e divisione, individualismo e noncuranza per il bene comune – l’esperienza di uomini e donne, giovani e anziani, che sanno accogliersi reciprocamente e sanno operare insieme per il bene di tutti, sarebbe il segno più vero che un futuro diverso è possibile, anzi sta già sorgendo.

Sarebbe l’autentico servizio che la Chiesa potrebbe donare agli uomini del nostro tempo. È vero: per quanto riguarda la sinodalità, siamo ancora solo ai primi passi, stiamo ora imparando a camminare
e ci vorrà del tempo… ma come i bambini, se non abbiamo paura delle cadute e della fatica, una nuova realtà finora forse solo sognata sta per schiudersi dinanzi a noi. E non sarà solo una moda.
Pino Natale

 

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Celebrazione eucaristica a conclusione del cammino sinodale
presieduta dal vescovo, monsignor Gennaro Pascarella
Parrocchia Sacra Famiglia – Pianura
Pentecoste – Sabato 8 giugno, ore 19

 





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