Sono definiti “bambini delle fate” perché nella mitologia celtica si attribuiva proprio alle fate delle favole la responsabilità dei loro disturbi. Leggenda narra, infatti, che le leggiadre creature mitologiche, attraverso il changeling – nome di un crudele sortilegio – rapendone l’animo lasciavano agli umani “bambini strani”, per niente collaborativi, sani solo nell’aspetto fisico. Insomma, già agli albori dell’umanità c’erano bambini che manifestavano i disturbi dello spettro autistico, una patologia neurologica grave, dalle diverse connotazioni, di cui ancora oggi si sa troppo poco. Su cerca di saperne di più proprio ad aprile, quando ricorre la Giornata Mondiale dell’Autismo.
Il termine autismo è stato utilizzato per la prima volta ai primi del Novecento ad indicare una serie di comportamenti di distacco dalla realtà, con una prevalenza della vita interiore e una forte compromissione dell’interazione sociale. I primi segni si notano generalmente entro i due anni di vita del bambino ed è così che è capitato ai genitori di Roberto: un bimbo descritto inizialmente come “normale” e che, dopo la somministrazione di un vaccino, si è rinchiuso nel suo mondo. Relazione tra vaccini ed autismo dunque? Assolutamente no (la bufala sull’autismo e i vaccini nasce da una truffa di Andrew Wakefield che nel 1998 fruttò all’ex medico una somma ingentissima, come lui stesso ammise); anzi, i genitori di Roberto smorzano subito le polemiche, riconoscendo alla malattia una componente genetica. Piuttosto, sarebbe proprio il mito del changeling a sfatare, a sua volta, il mito della relazione tra vaccini ed autismo: in passato i “piccoli delle fate” venivano descritti come privi di emozioni, non interessati all’ambiente circostante, ben prima dunque dell’avvento dei vaccini.
Ciò che è certo, invece, è il risultato raggiunto dal ragazzo di via Piave, ovvero la dimostrazione che con pazienza e dedizione la connessione in alcuni casi può, comunque, avvenire. Con frasi semplici e codificate Roberto è cresciuto e riesce ad interagire con il suo pubblico. Un meraviglioso ragazzo autistico che a modo suo esce dal suo mondo. Ma anche questo aspetto non è detto che abbia necessariamente una visione corretta. Nasce spontanea, dunque, una riflessione di carattere generale: esce lui dal suo mondo, Roberto, o siamo semplicemente noi che – con un minimo di impegno e di attenzione maggiore al prossimo – riusciamo ad entrare nel suo?
Simona D’Orso