Raffaele Giamminelli, il professore del Rione Terra che insegnava ai puteolani ad amare le proprie radici

Riportiamo il testo integrale dell'omelia del vescovo, monsignor Gennaro Pascarella, durante il funerale celebrato il 24 agosto nel duomo di Pozzuoli





Riportiamo il testo integrale dell’omelia del vescovo, monsignor Gennaro Pascarella, durante il funerale del professor Raffaele Giamminelli, celebrato il 24 agosto nel duomo di Pozzuoli.

 

Un fraterno saluto ad ognuno di voi, in particolare ai parenti del professor Giamminelli.

Siamo qui per dare a questo nostro fratello l’estremo saluto nell’attesa di poterlo incontrare quando anche noi giungeremo alla patria celeste, destinazione del nostro viaggio qui su questa terra.

In altre sedi ricorderemo con puntualità il grande contributo che egli ha dato alla storia del nostro territorio e della nostra diocesi. Voglio solo ricordare il monumentale volume sulla diocesi di Pozzuoli scritto insieme a don Angelo D’Ambrosio di venerata memoria.

Vogliamo dirgli grazie per avere tenuta viva la memoria della storia della nostra terra e della nostra gente. Oggi una forma esasperata di presentismo fa dimenticare le radici, che sono il nostro passato, linfa per l’oggi e nutrimento per il futuro.

Quando morì don Angelo D’Ambrosio citai un proverbio africano, che recita così: “Quando muore un anziano, scompare una biblioteca”. Questo detto vale anche il nostro fratello Raffaele. Quante ricerche, dati, ricordi sono scomparsi ed erano nella memoria di questi nostri fratelli, che non hanno avuto il tempo e la possibilità di mettere per iscritto!

Speriamo che giovani ricercatori ne prendano il testimone!

Le radici del nostro territorio attingono in modo particolare alla cultura e alla bimillenaria tradizione cristiana.

Oggi in tutta l’Europa si sta perdendo il riferimento ai valori cristiani, che, pur in mezzo a contraddizioni e tradimenti, i nostri antenati ci hanno trasmesso!

Uno di questo valori, che contraddistingue la fede cristiana, è la sconfitta della vita sulla morte, del bene sul male. Il cuore del messaggio cristiano è questa bella notizia: “Cristo morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha donato a noi la vita”. L’ultima parola sulla storia di un uomo o di una donna non ce l’ha la morte. La vita non è un precipitare verso il nulla, il vuoto; ma è un cammino verso la pienezza.

La morte porta sempre con sé amarezza, tristezza, pianto, sofferenza; ma il suo aculeo velenoso che porta con sé la disperazione, il totale sconforto è stato spuntato. Il Cristo è entrato nell’abisso della morte, è morto di una morte drammatica sulla croce; Egli, autore della Vita, non poteva rimanere suo prigioniero, è risorto, aprendo a noi spiragli di vita eterna.

Questa speranza ha reso più umana la morte! Il destino dell’uomo non è la dissoluzione totale, è la vita eterna, che ci è donata già qui e che troverà la sua pienezza al termine del pellegrinaggio terreno.

Quando portiamo la salma di un nostro caro nella Chiesa per affidarlo al Signore, affermiamo che quel corpo, che diventa cenere (“cenere sei e cenere diventerai”), è una cenere amata da Dio, porta in sé i germi della risurrezione.

“Credo la risurrezione dei morti” – proclamiamo nel Credo. In questa fede risiede il motivo più profondo del rispetto per i corpi dei nostri cari! I cimiteri sono chiamati anche “camposanti”, luoghi in cui risiedono i nostri cari in attesa della risurrezione alla fine dei tempi.

Ieri sera ho celebrato la S. Messa al cimitero del mio paese. All’ingresso c’è una grande scritta in latino, che recita così: “Qui risiedono gli abitanti di Cervino e di Forchia (una sua frazione) in attesa della risurrezione della carne”.

Sorelle e fratelli carissimi, in questo tempo di pandemia la morte, messa all’angolo dalla frenesia che avvolge la nostra esistenza, si è ripresa la scena! Siamo stati costretti a pensare a lei, alcuni immagini del loch down si sono impresse nella nostra mente; ma siamo bravi a cancellarle!

Questo tempo di pandemia ci ha costretti a ritornare all’essenziale, a riscoprire l’essenziale.

Cosa rimane alla fine della vita?

Il bene che abbiamo seminato, il bene che abbiamo fatto.

Il bene trova per un cristiano il suo centro, il suo “cuore” nella carità. Il Vangelo ci dice con franchezza che alla sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore. Tutto passa, solo l’amore rimane.

C’è una carità materiale, che è fatta di gesti concreti di condivisione con i più poveri.

C’è una carità spirituale che aiuta le persone a guardare in alto e in avanti, sapendo rientrare dentro di sé, dove Dio è più intimo a noi di noi stessi, direbbe sant’Agostino.

C’è una carità culturale, che aiuta la persona a prendere consapevolezza della propria dignità, della propria identità non come contrapposizione, ma ricchezza da donare, radicata nel territorio in cui vive e nella storia, di cui è erede.

Il professor Giamminelli ha soprattutto esercitato questa carità.

Lo affidiamo alla misericordia di Dio, perché lo accolga nel paradiso, dove la conoscenza ha la sua pienezza, dove non ci sono ombre, notte, lutti, pianti, dove trionfano l’amore, la pace, l’unità, la gioia, dove la felicità è costante.

+ Gennaro, vescovo





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