Il giornalismo deve e può essere narrazione; le periferie vanno messe al centro dell’informazione. Queste le sfide rilanciate nell’incontro sul tema “Periferie dell’informazione e periferie delle città nella deontologia professionale”. Il seminario si è svolto agli inizi di febbraio nell’auditorium della sede Rai a Napoli ed è stato aperto dai saluti degli organizzatori: il presidente dell’Ucsi (l’unione dei giornalisti cattolici), Giuseppe Blasi, e il presidente dell’Ordine regionale dei Giornalisti, Ottavio Lucarelli. Particolarmente apprezzati gli interventi dei relatori, padre Francesco Occhetta della Civiltà Cattolica e Domenico Iannaccone, giornalista e autore della trasmissione “I dieci comandamenti”, in onda su Rai 3. Le conclusioni sono state affidate all’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe.
«Rispetto a ciò che il giornalismo fa – ha sottolineato Iannaccone – noi abbiamo il compito di riappropriarci della densità emotiva del racconto. La periferia è uno spazio abbandonato, ma il giornalismo deve iniziare a “guardare” dove gli altri non guardano. Una sorta di alfabetizzazione delle coscienze. Prima, infatti, questa tipologia di giornalismo era presente, poi il racconto è diventato più standardizzato. Dobbiamo cominciare di nuovo a guardare “altrove”. Raccontare la verità ma con i tempi giusti. Non praticando un giornalismo d’assalto, con rincorsa e tempi frenetici, che portano ad una sorta di spettacolarizzazione. Dobbiamo, invece, rimanere “umani”. La sfida è quella di far parlare le periferie in modo che possano diventare il centro dell’attenzione, senza avere paure e temere le diversità».
Anche il gesuita Occhetta S.I. (Societas Iesu), raccontando alcune esperienze personali, si è soffermato sul tema dell’incontro: «La coscienza del giornalista ha una missione ben determinata ed è importante rivalutare soprattutto quest’aspetto. L’utilizzo dell’altro, la strumentalizzazione del dolore e del dramma risultano terribili. Fare audience con la spettacolarizzazione delle notizie è deontologicamente dubbio. Attualmente le notizie vengono trovate sui social e si verificano su Internet. Ma il giornalista deve saperle interpretare e contestualizzare». Negli ultimi anni, quando furono create le scuole di giornalismo, i professori predicavano che il giornalismo si basa sulla regola delle cinque “S” (sesso, soldi, spettacolo, sangue e sport), secondo la quale non interessa che la notizia sia completa, l’importante è che faccia orrore, che crei polemica e sconto. In base a questa logica, le periferie, tanto richiamate da Papa Francesco, restano quindi fuori dall’informazione. Di contro padre Occhetta ha sollecitato l’utilizzo delle cinque “C”, espressione del giornalismo americano: lettura del Contesto, la Conversazione intesa come ascolto e dialogo, la Cura e l’approfondimento delle notizie, la Community nella quale condividere questo modo di fare giornalismo, infine la Collaborazione tra colleghi, perché tutti i giornalisti hanno una missione comune. Questa visione può far ripartire il giornalismo delle periferie e dei territori.
Nell’intervento conclusivo, il cardinale Sepe, dopo essersi congratulato per le riflessioni e gli approfondimenti su una tematica così importante, ha affermato che bisogna fare attenzione alla “caratterizzazione della visione umana (non solo cattolica) di ciò che deve essere il ruolo dei professionisti della comunicazione”. Chi comunica deve essere sempre l’uomo, sebbene cambino gli strumenti; bisogna fare informazione nel rispetto di chi vede, chi sente e chi ascolta. Il pericolo nel modo di fare informazione sono le ideologie, gli interessi personali, economici, finanziari, il pressapochismo, le notizie non verificate, le notizie false. Bisogna sempre raccontare la verità e che questa emerga realmente dai dati, dai fatti e dalle situazioni. Anche nella politica è necessario badare sempre e comunque al bene comune, senza mai perderlo di vista.